Identikit del consumatore ecologico tipo

27 05 2008

Chi è il consumatore ecologico tipo? Se anche le aziende producono, lo Stato incoraggia e la tecnologia rende possibile, ma nessuno acquista i prodotti amici dell’ambiente, a poco valgono gli investimenti di quei soggetti per stimolare un mercato competitivo di questo genere di prodotti.

Secondo il sondaggio effettuato quest’anno dal portale acquistiverdi.it, di cui abbiamo già discusso nel precedente post, la maggior parte (il 67% per essere precisi) dei clienti di queste aziende risiede nel Nord Italia: maglia nera al Sud Italia (riferimenti all’attualità sono puramente causali….), con l’8% e all’estero (5%), dove i prodotti vengono venduti quasi esclusivamente presso paesi europei. Vuoi per una diversa disponibilità economica, vuoi per un diverso sviluppo industriale, i dati sembrano essere chiari e robusti ad ogni sospetto di errore di rilevazione: esiste una forte disparità nella penetrazione del prodotto eco-friendly sul territorio italiano.

Inoltre, la tipologia di distribuzione scelta dalle aziende sembra confermare il fatto che questi prodotti ricoprono ancora un ruolo di nicchia: la maggioranza vende infatti in negozi specializzati (17%), mentre meno importante è il ruolo ricoperto dalla grande distribuzione organizzata (9%). Interessante è il ruolo ricoperto da internet: sembra infatti che molte aziende di questi comparti scelgano l’e-commerce: il 15% vende direttamente dal sito dell’azienda e il 9% presso portali specializzati. Questa scelta ha due tipi di spiegazioni, non alternative: da un lato il cliente eco-sostenibile è probabilmente un consumatore attento e curioso, che utilizza spesso anche il world wide web per ricercare notizie e prodotti che esulino dal circuito mediatico e commerciale di massa; dall’altro che il prodotto eco è ancora una piccola nicchia, che stenta a trovare posto negli scaffali più frequentati (come confermano i dati sulla GDO) e ripiega quindi in altri canali.

L’identikit del consumatore tipo che emerge dall’analisi dei dati di questo sondaggio si arricchisce anche di un altra interessante caratteristica: il 41% è un’azienda e il 31% è un consumatore finale. Stupisce la bassa percentuale degli enti pubblici tra i clienti, solo il 18% del totale. Anche perché piani di azione ministeriali ed europei, avevano fissato per il 2006 obiettivi molto sfidanti: 30% dei beni delle pubblica amministrazione (dovrebbe) corrispondere a specifici requisiti ecologici e percentuali maggiori essere a ridotto consumo energetico. Il Green Public Procurement (GPP) potrebbe rappresentare proprio un importante traino per questo comparto, l’anello mancante per ricondurre le varie iniziative imprenditoriali su una strada di successo, garantendo una domanda di mercato e generando economie (di scala, di learning, di network) e favorendo una diffusione della coscienza ambientale nel consumatore.
Riusciranno i nostri eroi nell’ardua impresa?

2/3… to be continued…

Valentina



Carta d’identità delle aziende ecologiche

21 05 2008

Ai bambini si insegna che è meglio non parlare con gli sconosciuti. Aggiungo, meglio non parlare degli sconosciuti. Così, dopo qualche caso studio che ci ha permesso di sbirciare attraverso il buco della serratura del nuovo mercato dei prodotti eco-sostenibili, è giunta l’ora di guardare in modo più approfondito la carta d’identità delle aziende che hanno puntato in una produzione amica dell’ambiente. La nostra fonte è una ricerca condotta quest’anno presso le aziende iscritte al portale acquistiverdi.it. Per poter far parte di questo portale, che si presuppone l’obiettivo di costituire un punto di incontro tra domanda e offerta di prodotti eco-sostenibili, le aziende devono essere certificate da enti terzi (EMAS, fsc,..) oppure realizzare prodotti per la tutela dell’ambiente, come i pannelli fotovoltaici o prodotti per la raccolta differenziata.

La carta d’identità di queste aziende ci ritorna un’immagine di soggetti giovani ma vigorosi, in crescita rispetto agli anni precedenti soprattutto in termini di fatturato. Delle 63 aziende che hanno partecipato al sondaggio il 45% è stato fondato dopo il 2000, mentre solo il 30% prima degli anni 90.
Per quanto riguarda le dimensioni, le aziende eco-friendly rientrano pienamente nel modello imprenditoriale italiano: il 46% ha fino a 5 dipendenti, anche se, rispetto all’anno precedente (il 2006) è duplicato il numero di aziende con più di 50 dipendenti (raggiungendo una dignitosa soglia del 12%).
La crescita dimensionale si rispecchia anche nei dati sul fatturato: sono diminuite del 7% le aziende con meno di 500.000€ di fatturato annuo, che rappresentano comunque ancora una fetta numerosa (il 38%), ma più interessante è la crescita di aziende con un giro d’affari superiore ai 5 milioni di euro, passata dal 9% al 23% in un solo anno.

Nella maggior parte dei casi, il 63%, il prodotto ecologico è una relativa novità nel portafoglio prodotti dell’azienda, essendo stato inserito meno di 5 anni fa. Questi dati non si spiegano solo con la giovane età media dell’impresa ecologica, visto che il 70% delle aziende fondate prima dell’80 fa parte di questa categoria. Questi dati sembrano invece raccontare di un mercato giovane, per il quale la domanda e la sensibilità degli imprenditori si sono sviluppate in tempi recenti, con un rapporto di causalità tutto da scoprire.

Le aziende ecologiche, o almeno quelle intervistate, sembrano molto focalizzate in questo ambito: per il 55% i prodotti ecologici rappresentano più del 90% del fatturato complessivo dell’azienda. L’incidenza dei prodotti ambientalmente sostenibili sembra crescere di pari passo con il numero di anni dai quali i prodotti ecologici fanno parte del parco prodotti dell’azienda; per più del 90% delle aziende che li ha introdotti da più di 10 anni, rappresentano più della metà del fatturato complessivo.

Cosa inferire da questa carta d’identità? Come per tutti i sondaggi, questi dati vanno presi con le giuste pinze, sollevando domande sulla rappresentatività del campione e sulla sua composizione. Ma qualche risultato emerge già con chiarezza: i principali attori di questo nuovo comparto industriale non sono tanto aziende medio grandi, ma quell’insieme di micro aziende imprenditoriali e dinamiche che ha rappresentato da sempre l’humus adatto per il successo dello sviluppo economico all’italiana. Protagonisti dell’evoluzione di questo nuovo comparto, che raggruppa aziende trasversalmente a settori diversissimi sulla base dell’attributo sostenibilità, sono imprenditori che si sono focalizzati sulla produzione ecologica, decidendo di scommettere pesantemente sullo sviluppo di questo nuovo mercato.

…1/3: to be continued….

Valentina



Earth Day e emissioni all’italiana

22 04 2008

Il 22 aprile del 1970 in America nasceva il “giorno della terra”. A quasi quarant’anni dalla sua fondazione, 174 paesi ospitano eventi, concerti e manifestazioni varie per richiamare l’attenzione sulla necessità di combattere i cambiamenti climatici, nella settimana in cui anche il Time dedica un articolo di copertina al global warming (abbandonando, per la seconda volta in 85 anni, lo storico bordo rosso della copertina per un verde ambientalista).

E in Italia come siamo presi in termini di inquinamento ed emissioni? E’ recente un rapporto dell’Istat che punta l’indice contro le attività produttive come le principali responsabili delle emissioni atmosferiche nocive. Secondo questo studio, nel 2005 ben l’80% delle emissioni responsabili dell’effetto serra erano state prodotte dall’industria. E le accuse contro il sistema produttivo italiano non si fermano qui: secondo Istat sono da annoverare a questi soggetti anche il 90% delle emissioni che sono all’origine del fenomeno dell’acidificazione e più del 60% delle emissioni di gas responsabili della formazione dell’ozono troposferico. Quanto al resto, gran parte dell’inquinamento è dovuto al trasposto privato, ai SUV o alle cinquecento che ogni giorno cercano di aprirsi un varco nel traffico cittadino e, anche se in misura minore, al riscaldamento domestico e agli usi di cucina. I dati, che si riferiscono al periodo 1990-2005, provengono dagli aggregati Namea (National accounting matrix including environmental accounts) e identificano un ruolo importante anche per il settore del trasporto. Il trasporto in conto proprio, cita il rapporto, rappresenta la causa principale delle emissioni per la maggior parte degli inquinanti (CO, COVNM, NOx) di tali emissioni, la parte dovuta alla funzione trasporto è pari rispettivamente all’84% circa, al 67% circa e a oltre il 75%. La seconda funzione di consumo in ordine di importanza è rappresentata dal riscaldamento, che per la CO2 incide per oltre il 50%.

Mentre in tutto il mondo si festeggia la sensibilità ambientale di massa con l’Earth Day, (a Roma si stanno spegnendo ora le luci di un concerto in piazza Campidoglio…), in Italia si accendono i riflettori su un nuovo governo, al quale, questi dati e le considerazioni portate alla ribalta in questo giorno di coscienza ambientalista collettiva, lanciano molti appelli.

Valentina