Un giorno a Ecomondo

11 11 2008

Venerdì, dopo un viaggio lungo e avventuroso, ho visitato Ecomondo, fiera internazionale del recupero della materia ed energia e dello sviluppo sostenibile, arrivata quest’anno alla dodicesima edizione. Ecomondo rappresenta il principale punto di incontro per operatori del settore dei rifiuti, delle energie rinnovabili, del riciclaggio e più in generale dei servizi per risolvere i complessi e specifici problemi ambientali.

Al di là delle immancabili novità tecnologiche, il primo dato che mi sono portata a casa sono stati i numeri dell’evento: a sentire gli organizzatori, il numero di espositori è addirittura raddoppiato dall’anno scorso e dalla coda alle casse, posso testimoniare che anche il numero di visitatori (non solo italiani) ha viaggiato su delle belle cifre (quasi 65.000 secondo i responsabili). Numerosi sono stati anche i convegni e i seminari, che hanno coinvolto il mondo accademico  quello industriale. Mi sembra questo possa essere già un indicatore interessante dello stato di salute del settore green (in questa fiera limitato alle aziende manifatturiere o di servizi specializzate prettamente nella getione di rifiuti, emissioni, energia,…) a conferma che è un settore che non solo “tiene”, risultato già ottimo in tempi di crisi finanziaria e recessione, ma che anche cresce, sia in termini di fatturato che di addetti.

Altro dato interessante, agli occhi di un ricercatore curioso, è il numero di nuovi settori e tipologie di aziende che sono nati, in risposta alle problematiche e opportunità legate alla gestione ambientale. Probabilmente moltissime delle aziende che esponevano, fanno parte di comparti industriali che fino ad una decina di anni fa nemmeno esistevano. Prediamo ad esempio il settore della gestione dei rifiuti. Ci sono moltissime e diverse aziende nella catena del valore del rifiuto, che comprende fasi di raccolta, differenziazione, estrazione e divisione dei singoli materiali, trasporto, vendita, fino al riutilizzo e riciclaggio del materiale stesso. Tutte fasi di produzione che spesso fanno capo ad aziende distinte che negli ultimi anni hanno saputo sviluppare le nuove competenze necessarie, trasformando un problema in un’occasione di business.

Una delle cose che mi aveva incuriosito di più all’ingresso della fiera sono stati l’isola degli acquisti e il supermarket ecologico, un ala della fiera allestita a supermercato, con tanti di scaffali, con esposti un gran numero di prodotti di largo consumo e non ecologici. Al di là dell’opportunità o meno di incollare questa etichetti ad alcuni dei prodotti esposti, questo eco-store è stato un interessante conferma del fatto che il “comparto ambientale” non riguarda solo tecnologie e prodotti specifici, ma abbraccia anche settori completamente lontani, da prodotti di largo consumo a settori più tradizionali come l’abbigliamento e l’arredamento. Adesso come adesso ci sono prodotti ecologici -per le materie prime che utilizzano, piuttosto che per il packaging, per la possibilità di ri-utilizzo o per la bio-degradabilità- per tutti i gusti. Dentifrici che sembrano scatole di majonese, penne usb in mater-bi, piatti e bicchieri di plastica biodegradabili, quaderni in carta riciclata. Ma anche distributori automatici di detersivo, alberghi eco-sostenibili e “arbre-magique” 100% naturali. La gamma di prodotti che rispettano l’ambiente e davvero ampia e, più interessante, in continuo aumento, segno che questo comparto è uno dei pochi a non patire la crisi, e non solo in settori alto di gamma.

Il sistema industriale italiano sembra avere tutte le carte in regola per primeggiare in questo comparto, facendo leva sulle sue notorie competenze manifatturiere, sulla capacità di innovare e la capacità di comprendere i mercati finali. Ad Ecomondo hanno esposto molte aziende italiane che hanno scommesso in questa direzione, vedremo se il mercato premierà la loro strategia.

Valentina



Un giorno alla fiera del mobile

7 10 2008

Devo confessare che anche se è solo poco il tempo da cui mi sto interessando alle tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile, è già  diventata una deformazione professionale per me. E così passeggiando tra gli stand di una fiera del mobile, la prima domanda che mi salta in mente è: quante aziende avranno esposto indicazioni di un modo di produrre eco-friendly? Quanti produttori di letti, sofà e armadi a muro avranno esposto cartelloni pubblicitari per sfoggiare le loro doti ambientaliste, i loro investimenti in un miglioramento della qualità attraverso una produzione più efficiente e meno inquinante, un cambiamento di rotta verso un modo di produrre più sostenibile?

Condivido con voi questa mia simpatica ossessione perchè più delle domande, interessanti sono le risposte che ho trovato. Come forse qualche altro internauta avrà sperimentato vagando per gli infiniti stand di questo genere di manifestazioni, è che c’è un’unica risposta a queste diverse domande. Scommetto di non stupire nessuno nel dire che è la più desolante tra tutte le alternative possibili: nessuno. O quasi. Volendo cercare con il lumino, si riesce a scorgere qualche esempio illuminante, ma, ohibò, solo “i soliti noti” (Valcucine, per capirci).

Eppure un breve viaggio nei siti internet dei principali produttori di cucine, tanto per restare nel tema, sembra indicare tuttaltro. Veneta Cucine, SnaideroCiesse, Scavolini, solo per citare i primi risultati tra i produttori di cucine che ritorna una breve ricerca in Google, hanno tutti una sezione dedicata al tema ambientale, con tanto di identificazione della sostenibilità ambientale tra i principali valori aziendali. In fiera invece nessun rivenditore accenna al fatto; “questa cucina (ma potremmo fare lo stesso ragionamento parlando di imbottiti o di letti a caastello) è la migliore per le soluzioni adottate, per la qualità, per il prezzo”, ma nessun accenno al suo impatto ambientale.

Perchè?

Secondo me perchè il cliente medio (e anche molto più che medio) quando compra una cucina chiede per quello che ritiene essere il massimo: legno massiccio, tavoli spessi, soluzioni massicce. Con un occhio sempre più attento anche al prezzo. Altro che compattezza e minor utilizzo di materie prime, produzione con emissioni zero e riduzione degli sprechi. Il fatto è che nessuno chiede queste cose. La legge del mercato ha fatto sì che quasi ogni azienda del settore ormai abbia conseguito delle certificazioni ambientali, ma è dubbio se riescano a far leva su questo per ricavarne un premium price dai propri comsumatori, limitati dal proprio budget in caduta libera e sempre più sospettosi e disinformati.

E’ possibile immaginare uno scenario più roseo per un prossimo futuro? Domanda aperta, che secondo me dipenderà molto da quanto l’autorità pubblica saprà influire da un lato sul livello di informazione del consumatore, dall’altro sui suoi vantaggi a scegliere un prodotto green (piuttosto che uno cheap). Nel frattempo, mi ho già prenotato un biglietto per la fiera dell’anno prossimo.

Valentina



Se i pannelli solari si comprano all’Ikea

2 09 2008

Uno degli ostacoli più grandi alla diffusione delle tecnologie per la produzione di energia alternative su base solare su larga scala sono gli alti costi delle stesse. Studiosi e policy maker, così come installatori e casalinghe concordano sul fatto che i prezzi di pannelli solari e fotovoltaici sono ancora troppo alti per raggiungere una diffusione capillare tale da garantire una minore dipendenza dalle fonti tradizionali. E i ritorni sugli investimenti non sono ancora così alti da giustificare per molte famiglie italiane l’alta spesa.

E allora? Una soluzione ci sarebbe: parola di Ikea. Il colosso svedese, che ha circa 270 negozi in 35 Paesi e serve mezzo miliardo di clienti l’anno, sta infatti per entrare nel mondo dell’eco-friendly. Ikea ha, infatti, annunciato che investirà 50 milioni di dollari in cleantech startups nei prossimi cinque anni, con il fine ultimo di vendere i pannelli solari e le altre tecnologie prodotte nei megastore Ikea o farli utilizzare dai propri fornitori. L’idea di Ikea è di investire in varie aree, dai pannelli solari alle fonti alla ricerca in materiali eco-sostenibili, dal risparmio energetico alla purificazione dell’acqua.
Il tutto in pieno stile Ikea. Il direttore della sezione Ikea dedicata a questo progetto, la Ikea GreenTech, spiega difatti che queste nuove tecnologie dovranno soddisfare il binomio Ikea prezzi bassi e buona qualità. Il sogno (o miraggio) di ogni consumatore insomma.

Ikea d’altronde è già da tempo impegnata sul versante sostenibilità ambientale. Al di là dell’attenzione ai materiali usati per produrre mobili e letti montabili, Ikea ha infatti lanciato anche, ma per il momento sono nel regno unito, delle case pre-fabbricate, progettate per essere eco-friendly, con l’uso di materiali rinnovabili e l’utilizzo di energia solare e geotermica per il riscaldamento. Queste nuove tecnologie solari low-cost potrebbero quindi trovare facile utilizzo anche in questo tipo di case.

Non ci resta quindi che aspettare i risultati delle start up supportate da Ikea GreenTech, fantasticando su come potrebbe essere il manuale d’istruzione per montarsi il proprio pannello solare in giardino.

Valentina



L’eco design premiato a IDEA 2008

23 07 2008

La società di designer industriale americana e BusinessWeek conferiscono ogni anno i premi speciali IDEA,(International Design Excellence Awards), una vetrina internazionale di tutto rilievo per designer da tutto il mondo.
I vari concorrenti gareggiano in diverse categorie, che spaziano dagli accessori al packaging, dal tempo libero all’elettronica (dove apple ha vinto 4 premi,n.d.r.). Tra queste categorie spicca anche quella dell’eco-design. Ma c’è di più. La sostenibilità ambientale dei prodotti presentati non è semplicemente relegata ad una categoria a se stante, ma rappresenta uno dei principali criteri che la giuria ha dichiarato di adottare, tra gli altri, per valutare tutti i prodotti presentati nella competizione. Come dire, la sostenibilità ambientale non è prescindibile in nessun tipo di prodotto e innovazione: è diventata semplicemente una condizione di base, che ogni designer e produttore deve prendere in considerazione quando sviluppa il proprio prodotto, che voglia investirci in termini ambientali o meno.

Ma chi sono i vincitori della categoria eco-design? Tra i prodotti più interessanti (e premiati) di questa categoria c’è Treepac shipping system, uno scatolone riutilizzabile per spedire qualsiasi tipo di materiali da una parte all’altra del globo, progettato per ridurre l’impronta ambientale grazie al uso riutilizzo, rispetto al classico scatolone di cartone usa-e-getta, e per includere servizi innovativi, a beneficio di spedizionieri e clienti.
E che dire di Lite2go Lamp, un lampadario che riduce lo spreco di materie prime legate all’imballaggio rendendo l’imballaggio stesso il paralume? O di 360 paper bottle, un contenitore per liquidi multiuso prodotto con soli materiali riciclabili e che riduce drasticamente l’utilizzo di energia nel uso processo produttivo? Un altro prodotto che sembra aver ispirato molto gli eco-designer sono le lampade, per arredi domestici e urbani, che sono state reinterpretate in salsa verde attraverso l’utilizzo di LED, piuttosto che con l’utilizzo di energia creata dall’interazione con l’uomo.
Ma i designer a IDEA si sono sbizzarriti anche nel creare prodotti che svolgano funzioni ambientalmente utili. Come il cestino BigBelly che compatta i rifiuti grazie all’utilizzo di energia solare.

Forse l’attenzione all’ambiente nel design è solo agli inizi, ma la gran varietà e qualità dei prodotti presentati a IDEA 2008 sottolinea come questo matrimonio tra design e ambiente sia più che promettente. Sicuramente un matrimonio in cui investire se anche designer della caratura di Phillipe Starck hanno deciso di muoversi in questa direzione, concretizzandosi in prodotti dai nomi altisonanti quali il “democratic design“.

Valentina



La tecnologia salverà il mondo

5 07 2008

Siamo stati abituati a pensarlo per gran parte della nostra storia di umanità: la tecnologia, forma attraverso la quale si materializza il progresso, apporta dei miglioramenti indispensabili e utili alla vita dell’uomo. Ora molti scienziati ed imprenditori stanno scommettendo sul fatto che la tecnologia potrà salvare anche la terra dagli effetti negativi e dalle trasformazioni, secondo alcuni irreversibili, che l’attività umana sta apportando nell’ecosistema.
Effetto serra, cataclismi climatici, innalzamento delle temperature e del livello delle acque sono ormai minacce la cui veridicità è presa ormai per assodata.
Ma nonostante i molti allarmisti, i documentari d’autore, i rapporti scientifici di stimati istituti di ricerca e ministeri di mezzo mondo, che dimostrano come la colpa di questi cambiamenti dipenda dall’attività dell’uomo, gli inquilini del pianeta sembrano non volerne sapere di cambiare il proprio stile di vita.

E allora se non si possono eliminare le cause, perchè non agire sugli effetti? Questa almeno sembra essere la visione di molti scienziati, e, ancora più interessante di molti imprenditori. Secondo un recente articolo pubblicato da repubblica, solo in America sono almeno 400 le aziende private la cui missione societaria è la riduzione della CO2 emessa. E ancora più interessante, è sapere che la società di consulenza Point Carbon stima che in soli 2 anni il numero di queste aziende di Geo-engineering sarà tre volte più grande, forse anche di più, se la prossima amministrazione americana introdurrà dei tetti più stringenti all’inquinamento industriale.

Le proposte avanzate da queste società sono le più disparate e alcune ricordano delle soluzioni da fumetti Marvel. Come quella proposta dalla Global Research Technologies che produce aspiratori giganti in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’aria e, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformarla in materiali inerti da seppellire in località isolate.
O quella proposta dal premio nobel Paul Crutzen di spruzzare delle specie di mega-aerosol di zolfo nella stratosfera per schermare la luce del sole e raffreddare la Terra. O quella proposta da Climos e Planktos, che propongono un simile approccio ma nel profondo dei mari, disseminando gli oceani con polvere di ferro per aumentare la presenza di fitoplancton, che è in grado di assorbire CO2.

Efficaci soluzioni o progetti allampanati? Difficile dirlo. Sicuramente però, un business interessante, se perfino l’influente think tank dell’American Enterprise Institute gli ha dedicato un convegno e se il numero di aziende che scelgono si scommettere su questo settore è in aumento esponenziale.

Valentina



Spring Color, ovvero della vernice al latte

20 06 2008

Negli ultimi periodi si è assistito ad un proliferare di prodotti biologici, ecologici o presunti tali, di marchi e certificazioni e ad un allargamento trasversale del numero di produttori che si muovono in direzioni ecologiche e sostenibili. E una delle motivazioni principali che induce una domanda sempre più consistente a sostenere questi comparti è l’attenzione alla salute. Una sensazione di diffidenza e preoccupazione sulla salubrità dei prodotti di cui si circonda ogni giorno cresce tra i consumatori, giustificata ed alimentata da scandali quali quelli della mozzarella alla diossina o dei giocattoli tossici cinesi, che chiede a gran forza una maggiore trasparenza d’informazione e più sicurezza.

E’ a questi bisogni che Spring Color risponde. Produttrice marchigiana a conduzione familiare di vernici e pitture, ha riconvertito completamente la propria produzione al naturale dopo aver sperimentato sulla pelle degli stessi proprietari, quali siano gli effetti nocivi dell’utilizzo di componenti chimici nella produzione di pigmenti, calci e vernici, che colpiscono anche chi, come ognuno di noi, passa la maggior parte della vita circondato da muri ricoperti di vernici tossiche.
Il proprietario Roberto Mosca si è quindi tirato su le maniche e ha sviluppato, soprattutto attraverso attività di ricerca e sviluppo interne, una linea assolutamente innovativa di prodotti, spulciando tra manuali medici carbonari e manoscritti su tecniche di verniciatura antiche. La combinazione tra queste informazioni, l’esperienza professionale maturata in 4 generazioni e un continuo processo di adattamento ed esplorazione, ha portato alla creazione di una gamma completa di prodotti completamente naturali (coperti anche da brevetti), che non solo sono più salutari, ma si distinguono anche per migliori prestazioni tecniche (niente più problemi di muffe o di acidificazione del supporto) ed estetiche (sembra che ci riesca ad apprezzare ad occhio nudo la differenza!).

Gli ingredienti utilizzati da Spring Color sono cera d’api e propoli e anche gusci d’uovo e latte scaduto, scarti di produzione di aziende alimentari locali che vengono utilizzando dall’azienda che riesce così a contenere anche i propri costi. Perchè se voleste comprarvi un bidone di vernice per dipingere la vostra nuova casa, scoprireste che il sovrapprezzo per comprare vernici Spring Color (che, per onor del vero, bisogna sottolineare non sia comunque l’unica produttrice di vernici naturali, ndr) è praticamente irrisorio.

Un prodotto insomma che riesce a coniugare salubrità, estetica, rispetto per l’ambiente e convenienza. Il mercato dell’azienda (che vende un quarto dei propri prodotti tra Francia, Belgio e perfino Australia), è forte e in crescita, anche se c’è ancora tanto da fare sul fronte della consapevolezza dei consumatori.
Tanto forte da aver spinto l’imprenditore, sulla base anche di motivazioni etico-ambientaliste più alte, a pensare alla creazione di una rete di produttori, che utilizzino tecnologie e semilavorati Spring Color (coperti da brevetti) sotto proprio marchio, per allargare il mercato e rispondere così al crescente interesse da parte di bio-architetti o semplici privati.

Su FirstDraft si è parlato recentemente del successo di alcune aziende italiane che hanno puntato sulla sostenibilità, sottolineando comunque quanto irrisorio sia ancora il numero di aziende eco in Italia. Spring Color ci fornisce un altro esempio ed insieme una speranza, di quanto felice (e redditizio) possa essere uno sposalizio tra sostenibilità e industria.

Valentina



Carta d’identità delle aziende ecologiche, segni particolari

7 06 2008

La comunicazione è stata riconosciuta da Kotler in poi, come una delle principali leve del marketing a disposizione delle aziende. Che rilevanza assume nel comparto trasversale de prodotti ecologici?
Questo comparto è, infatti, relativamente nuovo (l’interesse verso queste tematiche è maggiorenne o poco più), e i principali attributi che lo caratterizzano riguardano tematiche e conoscenze spesso molto sofisticate. Molte delle migliorie che i prodotti eco-friendly apportano ai propri settori riguardano , difatti, componenti chimici dai nomi spesso impronunciabili oltre che difficilmente comprensibili e conseguenze che riguardano l’aspetto salutistico che spesso il consumatore medio non maneggia con facilità. In questo quadro, la comunicazione al consumatore diventa uno strumento chiave, per implementare con successo una strategia aziendale fondata sull’ecologico.
Come raggiungere il consumatore con queste informazioni? Secondo il sondaggio condotto da acquisti verdi.it, la maggior parte delle aziende utilizza il canale web, sia attraverso il proprio sito o siti generici, che attraverso portali specializzati, per promuovere i propri prodotti. Si sottolinea quindi una grande importanza del web: non solo è un’importante strumento di comunicazione ma anche, come si era visto nei precedenti post, un’importante canale di vendita dei prodotti ecologici.

Nella comunicazione, le aziende censite mettono in risalto il rispetto per l’ambiente (24%), seguito dalla qualità del prodotto (22%) mentre solo in terza posizione si trovano le certificazioni (11%). Nonostante questa bassa percentuale che punta sulla certificazione come mezzo di comunicazione, il 52% di esse ritiene che esse siano utili nell’orientare le scelte del consumatore. Interessante notare anche che solo un anno prima questa percentuale era molto più bassa, il 32%.
Un ulteriore 36% ritiene che questo strumento efficace, ma solo se il costo del prodotto certificato non è eccessivamente più alto del corrispettivo non certificato.
La fiducia nei confronti delle certificazioni è dunque alta e presenta un forte trend di crescita, riflettendo forse anche una crescente conoscenza del consumatore che comincia a riconoscere loghi e significati delle diverse certificazioni presenti sul mercato.

Ancora una volta emerge quindi l’importanza delle consapevolezza dei consumatori come traino del mercato ecologico. Una conferma viene dalle aziende stesse: il 51% ha dichiarato che il fattore più importante per lo sviluppo del prodotto ecologico è proprio l’aumento della sensibilizzazione dei consumatori, molto più che l’evoluzione della legislazione (24%) o la maggiore presenza nei circuiti della grande distribuzione (22%).

Valentina



Identikit del consumatore ecologico tipo

27 05 2008

Chi è il consumatore ecologico tipo? Se anche le aziende producono, lo Stato incoraggia e la tecnologia rende possibile, ma nessuno acquista i prodotti amici dell’ambiente, a poco valgono gli investimenti di quei soggetti per stimolare un mercato competitivo di questo genere di prodotti.

Secondo il sondaggio effettuato quest’anno dal portale acquistiverdi.it, di cui abbiamo già discusso nel precedente post, la maggior parte (il 67% per essere precisi) dei clienti di queste aziende risiede nel Nord Italia: maglia nera al Sud Italia (riferimenti all’attualità sono puramente causali….), con l’8% e all’estero (5%), dove i prodotti vengono venduti quasi esclusivamente presso paesi europei. Vuoi per una diversa disponibilità economica, vuoi per un diverso sviluppo industriale, i dati sembrano essere chiari e robusti ad ogni sospetto di errore di rilevazione: esiste una forte disparità nella penetrazione del prodotto eco-friendly sul territorio italiano.

Inoltre, la tipologia di distribuzione scelta dalle aziende sembra confermare il fatto che questi prodotti ricoprono ancora un ruolo di nicchia: la maggioranza vende infatti in negozi specializzati (17%), mentre meno importante è il ruolo ricoperto dalla grande distribuzione organizzata (9%). Interessante è il ruolo ricoperto da internet: sembra infatti che molte aziende di questi comparti scelgano l’e-commerce: il 15% vende direttamente dal sito dell’azienda e il 9% presso portali specializzati. Questa scelta ha due tipi di spiegazioni, non alternative: da un lato il cliente eco-sostenibile è probabilmente un consumatore attento e curioso, che utilizza spesso anche il world wide web per ricercare notizie e prodotti che esulino dal circuito mediatico e commerciale di massa; dall’altro che il prodotto eco è ancora una piccola nicchia, che stenta a trovare posto negli scaffali più frequentati (come confermano i dati sulla GDO) e ripiega quindi in altri canali.

L’identikit del consumatore tipo che emerge dall’analisi dei dati di questo sondaggio si arricchisce anche di un altra interessante caratteristica: il 41% è un’azienda e il 31% è un consumatore finale. Stupisce la bassa percentuale degli enti pubblici tra i clienti, solo il 18% del totale. Anche perché piani di azione ministeriali ed europei, avevano fissato per il 2006 obiettivi molto sfidanti: 30% dei beni delle pubblica amministrazione (dovrebbe) corrispondere a specifici requisiti ecologici e percentuali maggiori essere a ridotto consumo energetico. Il Green Public Procurement (GPP) potrebbe rappresentare proprio un importante traino per questo comparto, l’anello mancante per ricondurre le varie iniziative imprenditoriali su una strada di successo, garantendo una domanda di mercato e generando economie (di scala, di learning, di network) e favorendo una diffusione della coscienza ambientale nel consumatore.
Riusciranno i nostri eroi nell’ardua impresa?

2/3… to be continued…

Valentina



Carta d’identità delle aziende ecologiche

21 05 2008

Ai bambini si insegna che è meglio non parlare con gli sconosciuti. Aggiungo, meglio non parlare degli sconosciuti. Così, dopo qualche caso studio che ci ha permesso di sbirciare attraverso il buco della serratura del nuovo mercato dei prodotti eco-sostenibili, è giunta l’ora di guardare in modo più approfondito la carta d’identità delle aziende che hanno puntato in una produzione amica dell’ambiente. La nostra fonte è una ricerca condotta quest’anno presso le aziende iscritte al portale acquistiverdi.it. Per poter far parte di questo portale, che si presuppone l’obiettivo di costituire un punto di incontro tra domanda e offerta di prodotti eco-sostenibili, le aziende devono essere certificate da enti terzi (EMAS, fsc,..) oppure realizzare prodotti per la tutela dell’ambiente, come i pannelli fotovoltaici o prodotti per la raccolta differenziata.

La carta d’identità di queste aziende ci ritorna un’immagine di soggetti giovani ma vigorosi, in crescita rispetto agli anni precedenti soprattutto in termini di fatturato. Delle 63 aziende che hanno partecipato al sondaggio il 45% è stato fondato dopo il 2000, mentre solo il 30% prima degli anni 90.
Per quanto riguarda le dimensioni, le aziende eco-friendly rientrano pienamente nel modello imprenditoriale italiano: il 46% ha fino a 5 dipendenti, anche se, rispetto all’anno precedente (il 2006) è duplicato il numero di aziende con più di 50 dipendenti (raggiungendo una dignitosa soglia del 12%).
La crescita dimensionale si rispecchia anche nei dati sul fatturato: sono diminuite del 7% le aziende con meno di 500.000€ di fatturato annuo, che rappresentano comunque ancora una fetta numerosa (il 38%), ma più interessante è la crescita di aziende con un giro d’affari superiore ai 5 milioni di euro, passata dal 9% al 23% in un solo anno.

Nella maggior parte dei casi, il 63%, il prodotto ecologico è una relativa novità nel portafoglio prodotti dell’azienda, essendo stato inserito meno di 5 anni fa. Questi dati non si spiegano solo con la giovane età media dell’impresa ecologica, visto che il 70% delle aziende fondate prima dell’80 fa parte di questa categoria. Questi dati sembrano invece raccontare di un mercato giovane, per il quale la domanda e la sensibilità degli imprenditori si sono sviluppate in tempi recenti, con un rapporto di causalità tutto da scoprire.

Le aziende ecologiche, o almeno quelle intervistate, sembrano molto focalizzate in questo ambito: per il 55% i prodotti ecologici rappresentano più del 90% del fatturato complessivo dell’azienda. L’incidenza dei prodotti ambientalmente sostenibili sembra crescere di pari passo con il numero di anni dai quali i prodotti ecologici fanno parte del parco prodotti dell’azienda; per più del 90% delle aziende che li ha introdotti da più di 10 anni, rappresentano più della metà del fatturato complessivo.

Cosa inferire da questa carta d’identità? Come per tutti i sondaggi, questi dati vanno presi con le giuste pinze, sollevando domande sulla rappresentatività del campione e sulla sua composizione. Ma qualche risultato emerge già con chiarezza: i principali attori di questo nuovo comparto industriale non sono tanto aziende medio grandi, ma quell’insieme di micro aziende imprenditoriali e dinamiche che ha rappresentato da sempre l’humus adatto per il successo dello sviluppo economico all’italiana. Protagonisti dell’evoluzione di questo nuovo comparto, che raggruppa aziende trasversalmente a settori diversissimi sulla base dell’attributo sostenibilità, sono imprenditori che si sono focalizzati sulla produzione ecologica, decidendo di scommettere pesantemente sullo sviluppo di questo nuovo mercato.

…1/3: to be continued….

Valentina



Earth Day e emissioni all’italiana

22 04 2008

Il 22 aprile del 1970 in America nasceva il “giorno della terra”. A quasi quarant’anni dalla sua fondazione, 174 paesi ospitano eventi, concerti e manifestazioni varie per richiamare l’attenzione sulla necessità di combattere i cambiamenti climatici, nella settimana in cui anche il Time dedica un articolo di copertina al global warming (abbandonando, per la seconda volta in 85 anni, lo storico bordo rosso della copertina per un verde ambientalista).

E in Italia come siamo presi in termini di inquinamento ed emissioni? E’ recente un rapporto dell’Istat che punta l’indice contro le attività produttive come le principali responsabili delle emissioni atmosferiche nocive. Secondo questo studio, nel 2005 ben l’80% delle emissioni responsabili dell’effetto serra erano state prodotte dall’industria. E le accuse contro il sistema produttivo italiano non si fermano qui: secondo Istat sono da annoverare a questi soggetti anche il 90% delle emissioni che sono all’origine del fenomeno dell’acidificazione e più del 60% delle emissioni di gas responsabili della formazione dell’ozono troposferico. Quanto al resto, gran parte dell’inquinamento è dovuto al trasposto privato, ai SUV o alle cinquecento che ogni giorno cercano di aprirsi un varco nel traffico cittadino e, anche se in misura minore, al riscaldamento domestico e agli usi di cucina. I dati, che si riferiscono al periodo 1990-2005, provengono dagli aggregati Namea (National accounting matrix including environmental accounts) e identificano un ruolo importante anche per il settore del trasporto. Il trasporto in conto proprio, cita il rapporto, rappresenta la causa principale delle emissioni per la maggior parte degli inquinanti (CO, COVNM, NOx) di tali emissioni, la parte dovuta alla funzione trasporto è pari rispettivamente all’84% circa, al 67% circa e a oltre il 75%. La seconda funzione di consumo in ordine di importanza è rappresentata dal riscaldamento, che per la CO2 incide per oltre il 50%.

Mentre in tutto il mondo si festeggia la sensibilità ambientale di massa con l’Earth Day, (a Roma si stanno spegnendo ora le luci di un concerto in piazza Campidoglio…), in Italia si accendono i riflettori su un nuovo governo, al quale, questi dati e le considerazioni portate alla ribalta in questo giorno di coscienza ambientalista collettiva, lanciano molti appelli.

Valentina