Electrolux e la sostenibilità attivata: atto primo

17 02 2010

Non servono molte introduzioni per presentare Electrolux. Il gruppo svedese si è guadagnato negli anni una posizione di leadership assoluta nella produzione di elettrodomestici da consumo e professionali, distribuendo ogni anno più di 40 mila aspirapolvere, asciugatrici e forni in più di 150 paesi.

Ma forse meno si sa sulla sua, recente ma non troppo, conversione verde. Conversione forse non è il termine adatto per descrivere un percorso la cui prima tappa risale al 1986, un era geologica fa in termini di consapevolezza del consumatore e di legislazione sul tema, e che si è sviluppato in modo incrementale. All’inizio, fu la normativa. Una serie di provvedimenti restrittivi in termini di materiali cui non era concesso l’utilizzo furono l’occasione per l’azienda per cogliere la necessità di capire il proprio impatto ambientale per prevenire i cambiamenti legislativi, piuttosto che subirli passivamente. Ma ben presto l’approccio ambientale del gruppo è entrato nel vivo della strategia di Electrolux, ben oltre le scrivanie degli uffici qualità o conformità , fino nel vivo dei tavoli decisionali. Si è partito dal rivedere i processi produttivi, in uno sforzo di riduzione degli sprechi di energie e materie prime che ha coniugato i principi dell’eco-efficienza con dei ritorni economici di breve.

Ma le innovazioni più interessanti sono quelle che hanno riguardato da un lato i prodotti. Ogni prodotto è progettato per minimizzare energia, acqua e detersivi impiegati per farlo funzionare, ma anche garantire lo smaltimento e il riciclo alla fine del ciclo di vita. I materiali impiegati sono i più ecologici possibile e non tossici, rispettando standard più rigidi di quelli imposti dalle normative vigenti. Anche il trasporto dei prodotti è stato rivisto secondo principi di sostenibilità: si è cercato di minimizzare l’utilizzo di trasporto su gomma, a favore di rotaia o dell’intermodalità, o almeno di limitarlo ai soli camion a basse emissioni.

Ma quello che è più interessante è che l’azienda ha rivolto i propri sforzi non solo a ridurre gli impatti nel proprio processo produttivo, ma ha coinvolto altri attori, all’esterno dei cancelli aziendali.

I primi sono i consumatori: le più importanti riduzioni degli impatti avvengono infatti in fase di consumo del prodotto, che è progettato perchè il consumatore, nell’uso dello stesso, possa minimizzare i consumi. Il consumatore è quindi coinvolto attivamente:,non è solo soggetto passivo di un comunicazione sulle buone pratiche ambientali del produttore. L’elettrodomestico acquistato lo abilita nel realizzare comportamenti virtuosi ma allo stesso tempo gli dà dei ritorni immediati, non solo in termini etico-valoriali ma soprattutto in termini economici, permettendo risparmi che, specialmente in periodi di crisi, sembrano un argomento più convincente nella scelta d’acquisto del solo contributo alla salvaguardia dell’ambiente.

Gli altri soggetti attivati dall’azienda grazie alla propria politica di sostenibilità sono i fornitori. Il gruppo, infatti, non si è accontentato di garantire la sostenibilità dei processi produttivi che avvengono all’interno dei confini dell’impresa, ma fa un proprio punto di forza l’evidenziare il controllo delle performance ambientali dell’intera catena di produzione che porta alla realizzazione del suo prodotto . Il gruppo ha definito uno stringente codice di condotta, che detta standard in termini di rispetto dell’ambiente, caratteristiche dei prodotti ma anche di salubrità e sicurezza dell’ambiente di lavoro e condizioni salariali che fa rispettare non solo in ognuno dei 54 stabilimenti di proprietà, ma anche in ognuno dei propri fornitori. Come di consueto, enti verificatori terzi sono incaricati di certificare l’efficacia di questo sistema.

Una serie così consistente di innovazioni di prodotto, processo e organizzative, implica investimenti significativi, rivisitazioni del sistema organizzativo, uno sforzo consistente in ricerca e sviluppo. Come sono state realizzate queste innovazioni, e come questo percorso ambientale sia diventato la strategia vincente per Electrolux, tanto da ripagare e oltre gli investimenti realizzati, sarà il contenuto della prossima puntata.

Valentina



Se i pannelli solari si comprano all’Ikea

2 09 2008

Uno degli ostacoli più grandi alla diffusione delle tecnologie per la produzione di energia alternative su base solare su larga scala sono gli alti costi delle stesse. Studiosi e policy maker, così come installatori e casalinghe concordano sul fatto che i prezzi di pannelli solari e fotovoltaici sono ancora troppo alti per raggiungere una diffusione capillare tale da garantire una minore dipendenza dalle fonti tradizionali. E i ritorni sugli investimenti non sono ancora così alti da giustificare per molte famiglie italiane l’alta spesa.

E allora? Una soluzione ci sarebbe: parola di Ikea. Il colosso svedese, che ha circa 270 negozi in 35 Paesi e serve mezzo miliardo di clienti l’anno, sta infatti per entrare nel mondo dell’eco-friendly. Ikea ha, infatti, annunciato che investirà 50 milioni di dollari in cleantech startups nei prossimi cinque anni, con il fine ultimo di vendere i pannelli solari e le altre tecnologie prodotte nei megastore Ikea o farli utilizzare dai propri fornitori. L’idea di Ikea è di investire in varie aree, dai pannelli solari alle fonti alla ricerca in materiali eco-sostenibili, dal risparmio energetico alla purificazione dell’acqua.
Il tutto in pieno stile Ikea. Il direttore della sezione Ikea dedicata a questo progetto, la Ikea GreenTech, spiega difatti che queste nuove tecnologie dovranno soddisfare il binomio Ikea prezzi bassi e buona qualità. Il sogno (o miraggio) di ogni consumatore insomma.

Ikea d’altronde è già da tempo impegnata sul versante sostenibilità ambientale. Al di là dell’attenzione ai materiali usati per produrre mobili e letti montabili, Ikea ha infatti lanciato anche, ma per il momento sono nel regno unito, delle case pre-fabbricate, progettate per essere eco-friendly, con l’uso di materiali rinnovabili e l’utilizzo di energia solare e geotermica per il riscaldamento. Queste nuove tecnologie solari low-cost potrebbero quindi trovare facile utilizzo anche in questo tipo di case.

Non ci resta quindi che aspettare i risultati delle start up supportate da Ikea GreenTech, fantasticando su come potrebbe essere il manuale d’istruzione per montarsi il proprio pannello solare in giardino.

Valentina



IT e energia: matrimonio possibile? Apple e Dell ci provano

1 08 2008

La tecnologia può avere un impatto positivo per l’ambiente, sviluppando innovazioni utili nella riduzione dell’uso di materie prime e di energia. Ma quando si parla di IT, sembra che l’ago della bilancia penda più verso il lato negativo, sia per quanto riguarda il lato software che quello hardware.

Secondo uno studio dell’ IZT institute di Berlino presentato al CeBIT di Hannover, ad esempio, sembra che l’impatto della semplice navigazione in internet sia a dir poco spropositata. Secondo il professor Siegfried Behrendt un avatar comunemente usato in Second Life consumerebbe la stessa quantità di energia di un brasiliano (!).

Anche per quanto riguarda i prodotti di elettronica e i computer in particolare i dati non sono dei migliori. Secondo il Greener electronics guide, un affascinante ecoguida ai prodotti elettronici curata da Greenpeace, pochi dei grandi colossi hi-tech prendono la sufficienza nella pagella della sostenibilità, colpa di una scarsa attenzione alla riciclabilità dei prodotti e all’efficienza (energetica e di consumo di materie prime) dei processi. Ad aggravare uno scenario già fosco, la notizia che il solo settore dell’ICT è responsabile di almeno il 2% delle emissioni di gas serra a livello globale.

Come stanno rispondendo le aziende imputate? Sicuramente non ignorando questa problematica, che in tempi di caro gasolio e documentari sul global warming, sta attirando sempre di più l’attenzione dei consumatori.
Alcune aziende (IBM e Intel tanto per fare due nomi), stanno investendo per entrare i nuovi mercati più green, sviluppando tecnologie energetiche solari o simili; secondo Rhone Resch, responsabile della Solar Energy Industries Association (SEIA), “virtualmente ogni chipmaker sta soppesando un ruolo nel solare”.

Ma anche altri nomi noti del settore dell’informatica stanno cercando di lavare la propria immagine spostandosi verso produzioni più green, apportando modifiche ai propri prodotti o sviluppando nuovi modelli campioni di sostenibilità (o almeno questo è l’obiettivo dichiarato). Come i nuovi eco-book di Asus, con il case in bambù e altre caratteristiche che fanno felici gli ambientalisti.
O come Apple che ha brevettato una tecnologia che permetterà di ricoprire le superfici dei propri prodotti, dal MacBookAir all’IPod con sottilissime celle solari che permetteranno una ricarica completamenteeco-friendly. Ma questa è solo una delle tante iniziative in questo campo promosse da Apple, che si sta difendendo così dalle pesanti accuse di produrre PC e gadget vari altamente inquinanti, sia per i materiali tossici usati nella produzione che per la scarsa attenzione alla riciclabilità degli stessi.
Interessante è anche il caso di Dell, che si è autodefinita “the greenest technology company on the planet” e ha tutta l’intenzione di diventarlo. Grazie a nuovi prodotti come il Dell Studio Hybrid, un nuovo sistema desktop ultra-compatto stile Mac-Mini che consuma però fino al 70% in meno di un PC desktop normale ed è costruito con materiali riciclabili. Ma grazie soprattutto ad un’attenzione agli impatti ambientali in tutte le fasi del processo produttivo, dal design dei nuovi prodotti alla produzione e distribuzione, facendo in modo di ridurre l’impiego energetico anche nell’uso del prodotto, così come la riciclabilità dello stesso alla fine del suo ciclo di vita.

Anche in questo settore, dunque, molte rotte sono state aperte per dirigere la produzione verso obiettivi più green, che coniugano redditività con l’attenzione all’ambiente.

Valentina



La tecnologia salverà il mondo

5 07 2008

Siamo stati abituati a pensarlo per gran parte della nostra storia di umanità: la tecnologia, forma attraverso la quale si materializza il progresso, apporta dei miglioramenti indispensabili e utili alla vita dell’uomo. Ora molti scienziati ed imprenditori stanno scommettendo sul fatto che la tecnologia potrà salvare anche la terra dagli effetti negativi e dalle trasformazioni, secondo alcuni irreversibili, che l’attività umana sta apportando nell’ecosistema.
Effetto serra, cataclismi climatici, innalzamento delle temperature e del livello delle acque sono ormai minacce la cui veridicità è presa ormai per assodata.
Ma nonostante i molti allarmisti, i documentari d’autore, i rapporti scientifici di stimati istituti di ricerca e ministeri di mezzo mondo, che dimostrano come la colpa di questi cambiamenti dipenda dall’attività dell’uomo, gli inquilini del pianeta sembrano non volerne sapere di cambiare il proprio stile di vita.

E allora se non si possono eliminare le cause, perchè non agire sugli effetti? Questa almeno sembra essere la visione di molti scienziati, e, ancora più interessante di molti imprenditori. Secondo un recente articolo pubblicato da repubblica, solo in America sono almeno 400 le aziende private la cui missione societaria è la riduzione della CO2 emessa. E ancora più interessante, è sapere che la società di consulenza Point Carbon stima che in soli 2 anni il numero di queste aziende di Geo-engineering sarà tre volte più grande, forse anche di più, se la prossima amministrazione americana introdurrà dei tetti più stringenti all’inquinamento industriale.

Le proposte avanzate da queste società sono le più disparate e alcune ricordano delle soluzioni da fumetti Marvel. Come quella proposta dalla Global Research Technologies che produce aspiratori giganti in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’aria e, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformarla in materiali inerti da seppellire in località isolate.
O quella proposta dal premio nobel Paul Crutzen di spruzzare delle specie di mega-aerosol di zolfo nella stratosfera per schermare la luce del sole e raffreddare la Terra. O quella proposta da Climos e Planktos, che propongono un simile approccio ma nel profondo dei mari, disseminando gli oceani con polvere di ferro per aumentare la presenza di fitoplancton, che è in grado di assorbire CO2.

Efficaci soluzioni o progetti allampanati? Difficile dirlo. Sicuramente però, un business interessante, se perfino l’influente think tank dell’American Enterprise Institute gli ha dedicato un convegno e se il numero di aziende che scelgono si scommettere su questo settore è in aumento esponenziale.

Valentina