Soffia il vento della Danimarca

28 01 2009

In questi giorni mi trovo in Danimarca, nel bel mezzo del paradiso del cittadino modello. Unico fattore negativo in una città, Copenhagen, altrimenti perfetta, sono le fastidiose raffiche di vento che ti investono mentre passaggi tranquillo per lo Strøget o mentre bevi una birra in un dei tanti locali nella tipica atmosfera Hygge.

Ma quello che per un turista o per uno straniero trapiantato nel paese delle birre può rappresentare un inconveniente, rappresenta invece un grande vantaggio per l’economia del paese nonchè per le sue performance ambientali. Già camminando per le vie centrali della capitale si può notare una delle caratteristiche del paese: le pale eoliche. Non deturpando per niente lo Skyline cittadino, le pale eoliche rappresentano una presenza costante in quasi tutte le zone del paese, soprattutto nelle ventose lande del nord, dove nelle notti d’inverno, la produzione eolica arriva a coprire addirittura la metà del fabbisogno complessivo nazionale.

La Danimarca è infatti uno dei primi paesi al mondo per produzione eolica, nonchè uno dei maggiori paesi al mondo per la produzione di pale eoliche, con aziende che vendono in tutto il mondo, come la grande Vestas, che occupa più di 15 mila dipendenti e ha installato turbine eoliche in più di 60 paesi al mondo. In media, la produzione di energia attraverso l’eolico in Danimarca si aggira attorno al 23% del fabbisogno nazionale. Al di là delle evidenti condizioni atmosferiche favorevoli, l’eolico nella penisola danese è stato sostenuto da un favorevole contesto sociale, legislativo e anche, cosa di non poca rilevanza, finanziario. Contesto, che non solo ha sospinto la crescita in passato, ma anche quella futura. L’intenzione della Danimarca è di soddisfare entro il 2015 il 75% del fabbisogno di produzione elettrica con gli impianti eolici, anche grazie ad impianti come quello realizzato 12 miglia al largo del porto di Esbjerg, nel Mare del Nord, che, con le sue 80 pale, rappresenta il parco del vento offshore più grande del Paese.

E l’Italia? Il confronto con la Danimarca risulta sicuramente svilente, anche se consola il fatto che in effetti essa rappresenta un benchmark irraggiungibile non solo per noi italiani; un’eccezione anche nel panorama europeo. La Spagna è uno dei pochi stati che si sta muovendo decisamente in questa direzione, comprendo nello scorso anno l’11% del proprio fabbisogno nazionale grazie solamente a questa fonte di energia rinnovabile.

In Italia, dove i 3.640 aerogeneratori installati hanno prodotto un mesto 2% del consumo elettrico nazionale, non ci resta che consolarci con le cifre sui trend. Nel 2008 infatti, il numero di kilowattora installati ha raggiunto un insperato aumento del 37% rispetto all’anno precedente.

Valentina

Più di mille megawatt aggiuntivi, pari a una crescita record del 37%. Nel corso del 2008, i 3.640 aerogeneratori installati nel nostro Paese, hanno prodotto oltre 6 miliardi di kilowattora, cioè il 2% dei consumi elettrici, e alimentato i bisogni di 6,5 milioni di italian



Non solo rose e fiori dal fronte sostenibilità

9 01 2009

In queste pagine abbiamo raccontato spesso le potenzialità e i risultati positivi raggiunti da alcune imprese o settori grazie al connubio produzione&sostenibilità ambientale. Ma i segnali lanciati dal mercato non sono solo positivi. Stiamo parlando della drastica diminuzione degli affari nel settore dei pannelli solari e delle energie rinnovabili più in generale, dovute all’imprevista riduzione del costo del greggio e alla crisi finanziaria che non favorisce certo investimenti con ritorni a medio termine.

I primi, consistenti segnali di questa controtendenza ci arrivano dal lontano oriente. Federico Rampini ci racconta che metà delle fabbriche di Suntech, leader globale del settore, sono state chiuse, e in molti degli altri stabilimenti ai dipendenti è stato chiesto di presentarsi un giorno alla settimana. E Suntech non è sola. Sembra che l’unico settore in costante calo nelle oscillazioni frenetiche della borsa cinese sia stato proprio il solare. Dei sedici maggiori fabbricanti mondiali di pannelli fotovoltaici, sei battono bandiera cinese, con un dietro le quinte composto da molti altri produttori di componenti basati sempre nella repubblica popolare cinese. Ma molti di queste, Sunpower, JA Solar, LDK Solar, Trina Solar, sono crollate inesorabilmente proprio come il colosso del settore.

Il crollo è tanto più sentito tanto più che le prospettive di crescita erano di tutt’altro segno. A fine 2007 le imprese cinesi nel business ambientale erano trentamila, con tre milioni di dipendenti e un fatturato di 700 miliardi di yuan. E il solare era uno dei maggiori traini di questo sviluppo, che l’anno scorso aveva attirato anche molti fondi esteri di investimento. Che avevano portato anche a innovazioni tecnologiche interessanti, a un più ampio utilizzo delle rinnovabili anche sul suolo cinese, e a grandi progetti per sviluppo di monumentali centrali solari.

Ma lo spettro della recessione mondiale ha fermato questo processo virtuoso. I cinesi erano leader indiscussi nell’export del solare: il 95% della produzione era destinata all’export, e questo certo non fa favorito SunTech e compagne. Ma anche altri colossi mondiali delle rinnovabili hanno incassato lo stop, come la britannica Centrica, che ha bloccato piani per la creazione di nuove centrali eoliche o la francese Theolia che ha cambiato idea sull’apertura di nuovi impianti per la produzione del pale eoliche.

La situazione non è delle migliori. Il presidente di Solar Enertech, un altra importante azienda del solare, lo ha detto nei toni più cupi: “Per il solare è giunto il giorno del giudizio come accadde per la bolla di internet”. Forse la situazione non è così tragica, ma l’esempio del solare cinese ci insegna che la convenienza economica di un prodotto sostenibile è necessaria affinché sia preferito ai sostituti più inquinanti, anche in periodi di crisi. La nicchia di consumatori duri e puri, che vogliono e possono rinunciare a prodotti più low cost per tener fede alle loro convinzioni su un consumo consapevole non sarà mai sufficientemente grande da rendere economicamente sostenibile quelle produzioni eco-compatibili.

Insomma, la lezione che imparo da questo esempio è che per raggiungere un modello di sviluppo sostenibile sia a livello ambientale che economico è necessario un raffinamento delle tecnologie produttive disponibili, che abbassino i costi di produzione.  In altre parole, della necessità di un maggior investimento in ricerca e sviluppo, sullo stile dei sussidi all’ambiente proposti da Obama in campagna elettorale.

Valentina