Scenari energetici in Italia al 2020

2 12 2008

Qualche giorno fa a Padova si è svolto un convegno sugli scenari energetici al 2020 con uno sguardo particolare alla situazione italiana e al suo possibile ruolo all’interno dello ambito europeo. Il convegno, che ha visto una numerosa partecipazione oltre che di studiosi e accademici da tutto il Nord Italia anche di esponenti del mondo aziendale, ha indirizzato il delicato tema degli scenari energetici che si aprono per l’Italia all’indomani del molto discusso pacchetto 20-20-20 proposto dall’Unione Europea. Il convegno si poneva l’ambizioso obbiettivo di delineare una possibile proposta per una strategia nazionale per il raggiungimento degli obbiettivi – di riduzione delle emissioni, dell’incremento di energia rinnovabile e dell’efficienza energetica- assegnati dall’UE all’Italia, che al momento non esiste ancora.

Il tema è decisamente scottante tanto che i moderatori a tratti hanno dovuto calmare le acque come Floris in un dibattito tra Di Pietro e Castelli. Il motivo di tanto contendere sono stati soprattutto i numeri, relativi sia ai costi dell’effettuazione del pacchetto, che per molti degli studiosi presenti viaggiano decisamente al di sotto delle cifre su cui si basa l’attuale posizione del governo italiano sia ai benefici che deriverebbero da tali provvedimenti. Al di là della battaglia sulle cifre, il messaggio forte che ho colto dal vivissimo dibattito è stato un altro. E cioè che l’oggetto del contendere non è solo il combattere il global warming ma si sta discutendo della competitività del sistema economico italiano (ed europeo) nel prossimo futuro. È vero che la riduzione di Co2 a fronte dei provvedimenti obbiettivo sarebbe relativamente piccola – un taglio alle emissioni del 0,0015% secondo Confindustria. Ma quello di cui si discute in sede europea va oltre questo obbiettivo, prospettando un ambizioso piano strategico sulle tecnologie, tecnologie per una transizione ad un economia che segua un modello di sviluppo compatibile con l’ambiente. L’Europa non è certo l’unica che ha fiutato questa opportunità: anche la Cina, che non è nota basare i suoi piani industriali su scrupoli moralistici e ambientalisti, si è posta l’obbiettivo 19% di energia da rinnovabili al 2020. Energia prodotta, presumibilmente, da pannelli solari o pale eoliche made in China con un relativo indotto economico, che già si sta sviluppando, non indifferente. Se la Cina si è già mossa in questa direzione, anche l’America di Obama non tarderà a muoversi in questa direzione (forte dei 150 miliardi di dollari che il neo eletto ha promesso investirà nei prossimi 10 anni) e anche l’India si sta guadagnando un posto di tutto rispetto nel panorama mondiale per la produzione di pale eoliche. Insomma, non c’è tempo da perdere per non restare fuori dal mercato delle green technologies. Attualmente, nella Germania di Audi e Bmw ci sono più occupati nel comparto del solare che in quello dell’auto. Solo un indicatore tra i tanti che dimostra come l’obbiettivo della riduzione di emissioni e aumento dell’efficienza energetica sottende anche un mercato che potrà avere importanti riflessi non solo sull’ambiente ma anche sull’economia, in termini di occupazione che di fatturato sia in high tech – come quello per la produzione di tecnologie per le rinnovabili – che low tech -dai mobili alle ceramiche.

Alle prese con una delle peggiori tempeste per l’economia di sempre, investire in questa scommessa di economia sostenibile può rappresentare per l’economia italiana una delle poche scialuppe di salvataggio disponibili.

Valentina


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4 responses to “Scenari energetici in Italia al 2020”

2 12 2008
Marco (07:28:04) :

Sono perfettamente d’accordo con Valentina riguardo alle opportunità per l’economia che la crescente necessità di sostenibilità sta creando. E’ assolutamente importante (ancora di più in questo momento di crisi dei settori più tradizionali) saper cogliere questa opportunità e reinventarsi anche in quello che già sappiamo fare bene… Non credo che nessuno si aspetti che il sistema Italia, dall’oggi al domani, diventi ad altissimo contenuto tecnologico e cominci a produrre una serie di sofisticati brevetti per la produzione, ad esempio, di nuove forme di energia “verdi”. Sarebbe importantissimo, invece, partire da quei settori che sappiamo di “dominare” meglio (e penso alla manifattura e all’arredo ad esempio) e re-inventarli in una chiave più eco-sostenibile (nei processi e nei contenuti) così come viene chiesto ormai a gran voci dai consumatori.
Questa sarà una sfida importante per la crescita o, almeno, per la non decrescita del paese nei prossimi anni.

2 12 2008
valentina (15:46:04) :

Marco,
grazie per l’interessante commento. Penso proprio anche io che il potenziale in cui l’Italia possa esprimersi al meglio riguardi soprattutto i settori che già padroneggia, con i modi con cui già ha raggiunto il successo nel passato. Innovazioni di significato, nel contesto d’uso, nei materiali utilizzati, nell’eco-design del prodotto.
Niente di radicale. Niente di immediato. Ma un cambiamento incrementale è sicuramente nelle corde della nostra economia.

2 12 2008
Andrea (20:44:58) :

Complimenti per il blog che ho incrociato vagando in rete…
Dunque, dal mio punto di vista una riconversione ecologica del sistema produttivo italiano è di là da venire..
Dico questo perchè mi sembra che nella classe dirigente industriale e politica manchi una cultura in tal senso.
Infatti un qualsiasi processo innovativo in azienda (ma in materia abientale di +) necessita, oltrechè di una, diciamo così, predisposizione aziendale (a livello organizzativo, gestionale, di know-how, che non sempre è presente..), di stimoli esterni dati tanto dalla cultura di fondo – ed esempio le esternazioni governative contro il pacchetto 20-20-20 non vanno in senso giusto così come le tesi dei giovani confindustriali dell’utlimo convegno in cui si definiva, non si capisce bene su che base teorica, la tutela dell’ambiente un “bene di lusso”…) – quanto da strategie di policy ben definite ed in cui si la barra dritta (ad esempio la stretegia EU ETAP, in Italia c’è stato un piano di attuazione ma poca roba..), nonchè di un adeguato sistema regolatorio (e relativo assetto istituzionale), tra cui, oltre gli ormai “politicamente corretti” strumenti economici (non c’è infatti articolo, manuale, tesi che lo ribadisca…), secondo me – sarò dirigista ma… – un sistema di comand & control può fare la sua parte… se viene compiuta una easuriente Analisi di Impatto della Regolazione (come ad esempio avviene in UK..), se è stringente (nel senso che mira a risultati ambiziosi (ma raggiungibili) in termini di qualità ambientale che impongono alle aziende risposte innovative) ma flessibile (concedendo ad esempio una buona discerzionalità alla autorità competente al rilascio dell’autorizzazione che può valutare caso x caso, sulla base di linee guida statali come è ad esempio ora x le BAT), se è orientato alla performance (cioè non prescrive l’utilizzo di specifiche tecnologie o specifici interventi volti a contenere l’inquinamento..), se c’è un una costruzione di adeguati procedimenti di normazione tecnica (che oltre alla trasparenza garantiscano l’apporto, sia grazie alle competenze interne che a consulenti esterni, conoscenze di tipo economico, ambientale e tecnologico in modo da realizzare un appropriato corpus normativo), nell’iter autorizzatorio vi è una collaborazione fattiva fra Autorità Competente (anch’essa in possesso di adeguate conoscenze di tipo economico, ambientale e tecnologico) e azienda, se le ispezioni sono condotte in un certo modo, etc….
Ecco a me non sembra che si vada in tal senso; l’1/08 è stato, ad esempio, approvato dal CdM un progetto di legge delega per ari-modificare il TestoneUnico facendo, tra l’altro, venire meno un altro aspetto necessario della regolamentazione x stimolare l’innovazione, cioè non essere soggetta a mutamenti frequenti (non solo xchè crea incertezza circa le interpretazioni legali ma anche xchè sballa i tempi di attuazione delle norme non permettendo alle aziende di agire in un ottica di lungo termine ..); infatti, leggendo il testo della delega, l’unico interessante criterio per esercitare la delega che ho ravvisato è quello della riduzione degli oneri amministrativi…
Un pò poco no?

3 12 2008
Valentina (18:59:28) :

Andrea, grazie per aver arricchito questo blog con il tuo interessante apporto. Il ruolo della pubblica amministrazione è assolutamente rilevante in tema di politiche ambientali. Non per niente sono stati i governi centrali a dare le spinte più forti in queste direzioni, basta guardare al caso del Regno Unito che citavi anche tu, oppure in parte anche dell’Unione Europea, anche se con un impatto minore. In alcuni stati i politicanti guardano avanti e sostengono innovazioni che immaginano fonte di vantaggi per il proprio paese anche prima che si affermino appieno nel mercato. Appurato che in Italia questo tipo di politicanti è diffuso come il mammut antartico, spero vivamente in una specie di politicanti che almeno riconoscano i vantaggi di una produzione sostenibile quando questi si dimostreranno anche economicamente più vantaggiosi di quelli tradizionali.

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