Mille mille bolle verdi

31 03 2008

Tutti sappiamo che gli investimenti in tecnologie eco-compatibili sono molto importanti se non indispensabili per la conservazione dell’ambiente. Ma secondo Eric Janszen, economista e business angel americano, gli investimenti in rinnovabili e altre innovazioni pulite, possono fare molto di più. Possono salvare, oltre che l’ambiente, anche l’economia mondiale, specialmente quella americana.
Come? La tesi di Eric è tanto interessante quanto disincantata.
Non è un segreto che l’economia mondiale, e in particolare quella a stelle e strisce, stiano entrando in recessione, trascinati, nelle parole di Eric, soprattutto dall’alto tasso di indebitamento pubblico e privato che diverrà presto non più sostenibile. Secondo Eric, il settore delle tecnologie rispettose dell’ambiente è l’unico in grado di produrre sufficiente “valore fittizio” da rimpiazzare le perdite dovute alla bolla immobiliare. Secondo i suoi calcoli, infatti, il valore creabile sarebbe nell’ordine dei triliardi di dollari, venti per l’esattezza. Parafrasando le sue parole visto la situazione in cui si trova l’economia oggi, la sola cosa peggiore di una bolla speculativa sarebbe la sua assenza. Un punto a favore di queste tecnologie, specialmente quelle per l’energia, è poi che è un settore politicamente gestito e gestibile, nel senso che per creare le infrastrutture necessarie per porre le basi di una produzione eco-sostenibile, è necessario un intervento centralizzato.
Insomma, il signor Janszen ci insegna che l’attenzione ai settori eco-sostenibili dovrebbe essere ai primi posti nelle agende politiche mondiali, soprattutto quelle dei paesi sviluppati, se non per salvare l’ambiente almeno per ssalvare le finanze.



Reportiamo un po’ di luce

17 03 2008

Da brava curiosa e ignorante in materia, ieri sera mi sono regalata una serata di giornalismo vecchio stile su un modello di sviluppo alternativo. Tra le tante interessanti notizie preoccupanti o rassicuranti che sono emerse nella puntata di Report, vorrei segnalare alcune riflessioni che sono emerse a riguardo delle energie rinnovabili, un po’ per condividerle, un po’ per chiedere maggiori lumi nella comprensione di un argomento più vischioso di quello che sembra.
L’energia è infatti uno dei temi più caldi in tema di sostenibilità, vuoi per l’attenzione dedicatagli dai media per via dei continui aumenti nella bolletta energetica, vuoi per il suo alto impatto in termini di emissioni e di risorse sprecate.
Eolico, solare, cogenerazione, biomasse, sono solo alcune delle tante tecnologie disponibili su cui da tempo si discute in termini di efficacia e fattibilità. Non entrando nel merito della discussione sull’efficacia, che richiede conoscenze che non possiedo, mi soffermo invece su un altro aspetto importante, che a volte viene invece tralasciato quando si discute della produzione di energie alternative: la gestione e distribuzione. La visione della trasmissione di ieri è stato spunto per una riflessione su un nuovo punto di vista attraverso il quale affrontare la questione: la produzione di energia pulita è pressocchè inutile se non viene progettata una rete che ne gestisca la distribuzione e la produzione, nonchè un sistema di incentivi che accorci il tempo di rientro dell’investimento. Insomma, una serie di attenzioni non solo burocratiche ma anche tecniche è indispensabile tanto quanto l’installazione di pannelli solari sopra ogni tetto.
Dunque, a che vale discutere della scelta tra eolico o termico, fotovoltaico o geotermico se non viene realizzato un piano che renda effettiva ed utilizzabile l’energia prodotta da qualsiasi di queste tecnologie? A questo punto la riflessione successiva si sposta sui soggetti: un piano di questo tipo può prescindere da un provvedimento accentrato di matrice pubblica?
I giornalisti di Report hanno dimostrato che qualcun ci è riuscito, citando il noto caso di Schonau, piccolo paesino tedesco della foresta nera che, grazie alla determinazione dei suoi abitanti, è diventato più che autosufficiente in termini energetici. Ma è possibile replicare in Italia un simile modello, prescindendo dal contesto di gonnelline alla tirolese e boccali di birra?

Valentina



Questo pacco non s’ha da fare!

10 03 2008

Dopo le nuove polemiche sul ritorno dei rifiuti in centro a Napoli, si riaccende la polemica sull’emergenza rifiuti.
Anche in questo ambito, si può dire valga il vecchio detto: “prevenire è meglio che curare”. Perfino nel capoluogo campano se ne sono accorti, tanto che le amministrazioni si sono prodigate in promesse (elettorali o meno, sarà da verificare) su un fantomatico inizio della raccolta differenziata dei rifiuti. Visto che le discariche non le vuole nessuno (o quasi) e che neppure lo smaltimento dei rifiuti tramite inceneritori o altro non gode di grandi simpatie, la soluzione per far contenti tutti sempre stia a monte, riducendo la produzione dei rifiuti.

Un primo modo per iniziare in questa direzione è quello di ridurre l’utilizzo di imballaggi, che danneggiano l’ambiente ma anche il portafoglio. Gli imballaggi, che generano ogni anno 12 milioni di tonnellate di rifiuti in Italia, con un aumento del 9% rispetto al 2000, rappresentano anche un costo importante, soprattutto nei prodotti commodity. Secondo un recente rapporto della Coldiretti, infatti, senza imballaggio il prezzo dei prodotti (alimentari) potrebbe diminuire del 30%. I casi più clamorosi citati nel rapporto sono quelli di lattuga e pomodori: il primo passa da 1,5 euro a 8 per il solo confezionamento e lavaggio, il secondo riserva all’imballaggio una percentuale doppia di quello che è il guadagno del produttore.

Il rapporto si concentra solo nel settore alimentare, non restituendo quindi un immagine completa del problema, ma se si pensa che gli alimentari sono i responsabili del due terzi del totale della produzione di rifiuti da imballaggio è facilmente immaginabile l’ampio margine di guadagno che si potrebbe ottenere con una gestione più oculata del packaging.

Insomma, ridurre l’utilizzo di imballaggi, senza incidere sulla capacità di proteggere il prodotto, è un modo di ridurre la produzione di rifiuti che potrebbe far ridurre, in modo anche considerevole, pure la spesa dell’italiano medio. Dunque che cosa non funziona in Italia se ancora questi risultati non sono stati raggiunti?

Valentina