Eco-sì, eco-no

4 01 2008

Nei giornali degli ultimi giorni dell’anno ho letto più di qualche articolo, buonista o meno, su ambiente e ambientalismo che pongono l’attenzione su che cosa sia eco e cosa no.
Dato il periodo di bagordi e lotterie, inizierei con una riflessione sul numero 32, valore che quantifica la differenza tra lo stile di vita del mondo sviluppato e quello in via di sviluppo. Il premio Pulitzer Jared Diamond focalizza l’attenzione sul fatto che il disastro ambientale in cui incorriamo non dipende tanto dall’aumento della popolazione in se, quanto dal consumo pro-capite. Contando che le popolazioni del terzo mondo mirano ad ottenere uno stile di vita occidentale, i tassi di consumo, e quindi di inquinamento, rischiano un aumento fuori controllo.
Posta l’importanza della riduzione o comunque del cambiamento dei consumi, per prevenire pericolosi cambiamenti climatici o problemi di salute legati all’inquinamento, è utile capire cosa sia veramente eco e cosa no. Un libro americano di recente pubblicazione dà alcuni consigli in materia. Rischiando derive pericolosamente ambientaliste, può rappresentare comunque un interessante vademecum per smascherare stili di vita e prodotti solo in apparenza bio o eco. L’idea di fondo è che, nel calcolo del costo ambientale di un prodotto, debba essere considerato tutto il “ciclo di vita” del prodotto stesso, analizzando anche quanta energia sia necessaria per produrlo o quanto inquinamento si sia prodotto per trasportarlo.
Uno stile di vita veramente ecologico è dunque possibile? Il diario di bordo di Paolo Rumiz per Repubblica ci dimostra come (almeno per una settimana) uno stile di vita che riduca all’osso la CO2 è possibile. A patto di ridurre sprechi e consumi, mantenendosi saldi nei propri principi contro un modello prevalente che poco favorisce un modus vitae a basso impatto ambientale (mezzi pubblici docent).

Valentina


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One response to “Eco-sì, eco-no”

4 01 2008
Marco (15:23:06) :

Il diario di Paolo Rumiz dimostra quanto sia difficile, anche per chi è ideologicamente motivato, gestire una vita a basso impatto ambientale (no riscaldamento, no trasporto, no frigo, no energia elettrica, ecc.). Le tecnologie ed i prodotti presenti sul mercato non ci aiutano per nulla. Non è però ricorrendo ad uno stile di vita premoderno, ad una privazione quasi francescana, che possiamo risolvere il problema nella società di massa. A fronte di un determinatissimo Paolo Rumiz ce ne sono cento (io tra questi) che non hanno nessuna intenzione di staccare il riscaldamento a Natale (si sarà anche più tonici, ma che freddo ragazzi!). Mi fa molta paura pensare che ci sarà qualcuno che si arrogherà il diritto di dire che una cosa è utile (sostenibile) e un’altra non lo è (eco-sostenibile). Una parte importante della nostra qualità della vita è oggi agganciata ad elementi che potremmo considerare futili. Quanto energia consumiamo ad esempio per chattare su internet, per vedere la tv, per giocare ai videogiochi, per parlare al cellulare? Qualcuno potrebbe pensare che si trattano di cose “non necessarie”. Che pensare di secondlife allora? In un interessante articolo Nicholas Carr (http://www.roughtype.com/archives/2006/12/avatars_consume.php) sostiene che un avatar su secondlife consuma all’anno la stessa quantità di energia elettrica di un Brasiliano. Dobbiamo chiudere tutto? Mi sembra difficile.
Credo che la strada da intraprendere sia quella di rendere la sostenibilità ambientale parte integrante dei processi di produzione del valore. La sostenibilità può e deve diventare un business. Da questo punto di vista i consumatori giocano un ruolo cruciale. Solo un cambiamento nei valori e nelle priorità del mondo del consumo consentirà la nascita di nuove opportunità economiche per le imprese per investire e realizzare soluzioni e prodotti ad alto tasso di innovazione capaci non solo di essere eco-compatibili, ma di diventare meccanismi attivi di risanamento ambientale (un automobile che assorbe co2 al posto di emetterla).
Ben venga quindi la diffusione di una nuova coscienza ambientale (anche attraverso i diari di Paolo Rumiz) purchè sia l’inizio di vero processo di innovazione capace di trasformare la nostra società.

Marco

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