Il verde che c’è ma non si vede

24 11 2009

Qualche settimana fa abbiamo parlato del fatto che l’attenzione all’ambiente stia diventando un trend in alcuni settori tanto che tutte le aziende si stanno volgendo in un modo nell’altro in questa direzione. In particolare vi avevo raccontato delle testimonianze di professori, imprenditori, rappresentanti istituzionali che avevo ascoltato ad una convention sul futuro del settore legno arredo, concludendo che, almeno in quel settore, il raggiungimento di obbiettivi di riduzione degli impatti sull’ambiente sembrava ormai cosa fatta.

Da brava ricercatrice, non mi accontento però delle cose che mi vengono raccontate e mi piace andare a verificare l’arrosto dietro al fumo. La convention, FUTSU, era ospitata all’interno di SICAM, fiera internazionale di componenti, semilavorati e accessori per l’industria del legno-arredo. Quale miglior occasione per verificare se effettivamente portafogli prodotti e processi produttivi delle aziende siano stati modificati per considerare anche gli impatti ambientali?

Munita di taccuino e curiosità mi sono addentrata tra gli stand degli oltre 400 espositori, un viaggio tra i protagonisti del legno arredo italiano che merita raccontare. Oggetto della mia missione in codice era quello di verificare quanti espositori parlassero di sostenibilità ambientale nei loro stand o nelle loro brochure e, nel caso, di cosa effettivamente si trattasse.

Il mio primo avvistamento è un incontro del terzo tipo. Tra le righe della brochure di una piccola azienda di pannelli trovo la menzione “ecologico” tra le caratteristiche di prodotto. Mi avvicino con un gran sorriso al venditore che mi spiega che il loro prodotto è ecologico perchè usa legno e non plastica. Insomma, non è veramente ecologico, ma … cosa non si mette nelle brochure per fare una buona impressione! Comunque, aggiunge il venditore, forse leggendo il mio disappunto, per il futuro stanno cercando di sviluppare nuovi prodotti, questi sì ecologici, utilizzando pellami di riciclo.

Passata oltre, ho cominciato a segnare sul mio taccuino i nomi delle aziende nei cui stand vedevo apparire anche solo un apparenza di verde ed ecologico. Il resoconto è, a prima vista, avvilente. Dei 400 espositori la mia lista non contiene più di dieci aziende. Come interpretare questo dato?

Una prima ipotesi è che quanto ho ascoltato alla convention fosse solo fumo e non ci sia nessun arrosto serio sotto. Che quella della sostenibilità ambientale insomma, sia solo una trovata d’immagine, che tutti dicono di prendere in considerazione se specificatamente interpellati, ma che non gioca poi nessun ruolo concreto nelle scelte di sviluppo di nuovi prodotti o come fattore importante d’acquisto. Ma troppe fonti, dal mercato alla politica alla ricerca indicano nella direzione opposta per poter credere appieno a questa tesi.

La vera chiave interpretativa per capire questa differenza sta secondo me invece nella poca capacità delle nostre PMI di settori tradizionali di comunicare il loro approccio ambientale. Poche delle aziende che hanno intrapreso un percorso di sostenibilità lo comunicano ai propri clienti e consumatori. Se in generale le aziende italiane hanno ancora poche competenze nella comunicazione, questo problema è ancora più sentito quando si tratta di far leva sulle caratteristiche green dei propri prodotti. Alcune aziende usano le certificazioni (come la ISO14001 o l’Ecolabel) come segnale del proprio atteggiamento sostenibile, ma per poter usufruire appieno delle potenzialità di mercato legate alla sostenibilità ambientale un logo stampato sul prodotto non sembra sufficiente e una comunicazione più mirata è sicuramente indispensabile. Come ha fatto la friulana Copat, che da quando ha deciso di controllare la propria impronta sull’ambiente ha deciso di fare di questi aspetti parte integrante del proprio sforzo comunicativo.

Insomma, per poter parlare di strategia vincente, che coniughi ambiente ed economia, non serve parlare solo di azioni di sostenibilità, ma anche di come queste vengano poi comunicate ai propri consumatori in modo che le aziende possano trarne il relativo premium price o comunque ritorno d’immagine.

Valentina



Si cambia luce

8 09 2009

Dopo tante discussioni e progetti il giorno è arrivato. Dal primo di settembre comincia il cambio generazionale delle lampadine, che vedrà sostituite tutte le lampadine ad incandescenza con le nuove ad alta efficienza energetica.

Il cambiamento, dovuto a un regolamento europeo, prevede una sostituzione graduale, da ultimarsi entro il 2012. La decisione non è un fulmine a ciel sereno: la discussione del progetto di legge è iniziate nel parlamento europeo molti anni fa, spinta dalle considerazioni sull’incidenza dei consumi elettrici sul totale delle emissioni e sullo spreco energetico. Che le lampadine a incandescenza fossero dei mostri ecologici, poco efficienti e pure inquinanti (trasformano solo il 5% dell’energia in entrata in luce) era risaputo da tempo. Eppure il minor costo rispetto alle rivali green come le lampadine fluorescenti, alogene o LED, e le diverse prestazioni le hanno finora date per favorite nel mercato finale. Anche se, assicurano in europa, il passaggio a queste lampade può permettere il risparmio di 50 euro in bolletta ad ogni famiglia. Colpa della poca lungimiranza e di una scarsa disponibilità dei nuovi prodotti, nelle vetrine mediatiche per le loro migliori performance ma più difficili da trovare nel ferramenta di quartiere o negli scaffali dei grandi magazzini.

Per porre fine a questo circolo vizioso in cui le aziende producevano prodotti di conclamata inefficienza per soddisfare le esigenze di consumatori pigri al cambiamento e attenti ai costi di breve, ci è voluto l’intervento del terzo soggetto del mercato, lo Stato. La commissione europea si è presa infatti carico di risolvere questa inefficienza e ha scelto questo settore quasi a mascotte per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica e riduzione delle emissioni del pacchetto 20-20-20. Il policy maker si è quindi preso la briga di selezionare le tecnologie efficienti, o meglio, quelle più inefficienti, sostituendosi al libero mercato ingabbiato in un circolo vizioso che non avrebbe, da solo, raggiunto gli obiettivi di sostenibilità ambientale. Con il risultato che, a livello europeo il risparmio in elettricità che si dovrebbe raggiungere sarebbe pari a 10 miliardi di euro con una riduzione di CO di 38 milioni di tonnellate, pari alla produzione di 52 centrali elettriche o a 156 milioni di barili di petrolio in un anno.

E la sostenibilità economica? L’imposto cambiamento di tecnologia non è stato certo indolore per le aziende del settore. Inutile nascondersi che molte aziende hanno sofferto nel sostenere i costi di una riconversione della propria offerta produttiva (che comunque, vedranno bene di spartire con il mercato finale). Ma per alcune questo cambiamento è diventato fonte di un vantaggio competitivo. Come Philips, che grazie alla virata vero una produzione di eco-lampadine è ora leader indiscussa del mercato. Fiutando l’ineluttabilità del cambiamento, si è lanciata, prima dell’effettiva entrata in vigore della legge, nelle nuove tecnologie, riconfigurando il suo brand, ponendo attenzione a ogni aspetto di inquinamento e consumo dei suoi prodotti e processi produttivi, e comunicando in grande stile il tutto ai consumatori. Cominciando con largo anticipo il cambiamento, si è risollevata e guadagnata, ora, il ruolo di leader nel mercato, e non solo europeo. Vantaggio da first mover, direbbero gli economisti, strategia di medio-lungo termine, i più saggi.

L’esempio della lampadina, mascotte delle nuove produzioni sostenibili europee, ci insegna che a volte il mercato, da solo, non ce la fa a tenere insieme i tre assi della sostenibilità, ambientale, energetica e sociale e che in questi casi l’intervento dello stato può essere utile per aumentare il welfare totale, uscendo dai meccanismi inceppati delle inerzie e delle path dependencies tecnologiche. E tuttavia Philips ci conforta, confermando che c’è spazio nei nuovi scenari verdi per aziende che decidono di investire nel design, nei processi, nella comunicazione in sostenibilità. La necessità di migliorare le performance ambientali prodotti e processi produttivi sembra ormai ineludibile: la differenza tra chi vince e chi perde alla fine si giocherà anche sulla capacità di essere pro-attivi rispetto al cambiamento.

Valentina



Quanto peso?

1 07 2009

Domanda legittima in tempi d’estate e vacanze al mare. Ma non è la ricerca del peso forma di cui vi voglio parlare oggi. O meglio, non delle tecniche per riuscire a strizzarsi di nuovo nei vestitini dell’anno scorso. Piuttosto di una simpatica iniziativa che calcola le emissioni di anidride carbonica.

La potenza di internet: cosa non si può trovare girando un po’ per le pagine del web. Mi riferisco all’iniziativa realizzata dalla regione Toscana insieme ad altri enti e associazioni che combattono i cambiamenti climatici per sensibilizzare i consumatori del futuro a comportamenti più ambientalmente sostenibili. DimagrisCO2 è un iniziativa e un concorso per stimolare e valorizzare scelte di consumo più consapevoli e a minor impatto ambientale tra studenti delle scuole della Toscana.

E se ti dicessi che pesi ben 8.000 kg? La domanda iniziale della campagna colpisce subito al cuore l’adolescente in crisi di fiducia in se stesso. E stimola il concorso, che consiste nella realizzazione di appositi comportamenti dietetici, dalla sostituzione delle lampadine a incandescenza al riciclo, con tanto di schedina dove annotare i risultati ottenuti nel mese. Il risultato dovrebbe essere la riduzione deli 8.000 kg procapite di emissioni di Co2 emesse all’anno (pari sembra, al peso di due elefanti di media grandezza)  ma soprattutto la sensibilizzazione del singoli consumatore sull’importanza del suo ruolo nella battaglia contro l’inquinamento e i cambiamenti climatici.

La proposta lanciata da questa iniziativa è un po’ vecchiotta (i vincitori hanno già goduto delle gite organizzate in Toscana come premi per le classi che dimagrivano di più) ma non è certo la sola che punta alla riduzione delle emissioni di Co2 grazie al ruolo attivo del consumatore.

Come ad esempio l’iniziativa “Quanto pesa?” realizzata da Valcucine in collaborazione con Zona Tortona ed il politecnico di Milano. Con una serie di messaggi, volantini e cartellonistica vengono comunicati l’impatto in termini di emissioni di anidride carbonica di semplici azioni quotidiane (notevoli il calcolo del peso del raffreddore e dell’aspettare il verde…). O il percorso di AzzeroCO2 che ha creato un interessante modello di business nel supportare cittadini, imprese e enti pubblici nel contrastare attivamente i cambiamenti climatici. Tramite il loro sito è possibile calcolare le emissioni di azioni quotidiane per poi, spaventati dagli alti valori di inquinanti emessi, individuare interventi diretti finalizzati a ridurre i consumi di energia e emissioni e neutralizzare le emissioni residue attraverso interventi indiretti.

Su internet le più varie iniziative impazzano: il punto interessante è analizzare il ruolo che internet può avere nella diffusione di comportamenti d’acquisto e di consumo più responsabili e rispettosi delll’ambiente. Il problema che da più parti viene sottolineato è l’ignoranza del consumatore sull’impatto delle proprie azioni e sulle alternative disponibili. Che internet possa avere un ruolo positivo in questo senso? In effetti, da sempre si è caratterizzato per rendere possibile la più ampia diffusione di conoscenze e informazioni e rendere possibile iniziative e progetti altrimenti impossibili (serve riferirsi all’open source?)

Nelle prossime puntate più riflessioni dall’esempio della piattaforma americana Carbonrally.

Valentina



Il Grande Fratello si tinge di verde

21 11 2008

La sostenibilità ambientale è ormai diventata una questione di costume. Lo so con certezza, dopo aver scoperto che esiste un Grande Fratello versione eco-sostenibile, con tanto di gruppo su YouTube che ne raccoglie “il meglio di”. Il programma in questione si chiama the Human Network Live Effect, ed è un programma, tutto on-line, che raccoglie le dirette su una casa ad emissioni zero e la vita dei suoi cinque abitanti, blogger, giornalisti, professori e una Perego di turno, a fare da presentatore e mediatore delle varie discussioni e interviste che hanno luogo nella casa. Il posto di Endemol è stato coperto da Cisco che ha fornito anche avanzate tecnologie di comunicazione e di rete, insieme ad altre aziende attive nel campo della sostenibilità come il Gruppo Loccioni, Enel e Whirpool. L’idea del format è originale: mettere in onda un esempio di come si possa vivere (almeno per una settimana) in modo assolutamente sostenibile. A partire dalla casa, tecnologicamente innovativa, fornita di pannelli solari termici e fotovoltaici, con soluzioni di building automation e dotata di monitoraggio continuo della qualità dell’aria interna e di ventilazione meccanica con recupero di calore. La casa è addirittura dotata di una micro centrale elettrica nonchè di sistema di produzione, stoccaggio e riutilizzo di idrogeno per la generazione elettrica. Ma nella Leaf Community non si vive solo in una casa a zero emissioni di CO2: ci si sposta con mezzi elettrici o ad idrogeno, si portano i bambini in una scuola ad energia solare e si lavora in edifici ecocompatibili che funzionano grazie all’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.

Il programma sembra davvero completo, ed è stato arricchito dalla presenza di varie guest star, da Federico Moccia a Jovanotti, che sono state intervistate dagli inquilini sulle tematiche della sostenibilità.

Un piccolo esperimento, sicuramente a basso impatto non solo sull’ambiente ma anche sull’opinione pubblica, ma di certo un caso interessante di come si possano comunicare e realizzare, in maniera innovativa, i concetti dell’eco-sostenibilità.

Valentina



Un giorno alla fiera del mobile

7 10 2008

Devo confessare che anche se è solo poco il tempo da cui mi sto interessando alle tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile, è già  diventata una deformazione professionale per me. E così passeggiando tra gli stand di una fiera del mobile, la prima domanda che mi salta in mente è: quante aziende avranno esposto indicazioni di un modo di produrre eco-friendly? Quanti produttori di letti, sofà e armadi a muro avranno esposto cartelloni pubblicitari per sfoggiare le loro doti ambientaliste, i loro investimenti in un miglioramento della qualità attraverso una produzione più efficiente e meno inquinante, un cambiamento di rotta verso un modo di produrre più sostenibile?

Condivido con voi questa mia simpatica ossessione perchè più delle domande, interessanti sono le risposte che ho trovato. Come forse qualche altro internauta avrà sperimentato vagando per gli infiniti stand di questo genere di manifestazioni, è che c’è un’unica risposta a queste diverse domande. Scommetto di non stupire nessuno nel dire che è la più desolante tra tutte le alternative possibili: nessuno. O quasi. Volendo cercare con il lumino, si riesce a scorgere qualche esempio illuminante, ma, ohibò, solo “i soliti noti” (Valcucine, per capirci).

Eppure un breve viaggio nei siti internet dei principali produttori di cucine, tanto per restare nel tema, sembra indicare tuttaltro. Veneta Cucine, SnaideroCiesse, Scavolini, solo per citare i primi risultati tra i produttori di cucine che ritorna una breve ricerca in Google, hanno tutti una sezione dedicata al tema ambientale, con tanto di identificazione della sostenibilità ambientale tra i principali valori aziendali. In fiera invece nessun rivenditore accenna al fatto; “questa cucina (ma potremmo fare lo stesso ragionamento parlando di imbottiti o di letti a caastello) è la migliore per le soluzioni adottate, per la qualità, per il prezzo”, ma nessun accenno al suo impatto ambientale.

Perchè?

Secondo me perchè il cliente medio (e anche molto più che medio) quando compra una cucina chiede per quello che ritiene essere il massimo: legno massiccio, tavoli spessi, soluzioni massicce. Con un occhio sempre più attento anche al prezzo. Altro che compattezza e minor utilizzo di materie prime, produzione con emissioni zero e riduzione degli sprechi. Il fatto è che nessuno chiede queste cose. La legge del mercato ha fatto sì che quasi ogni azienda del settore ormai abbia conseguito delle certificazioni ambientali, ma è dubbio se riescano a far leva su questo per ricavarne un premium price dai propri comsumatori, limitati dal proprio budget in caduta libera e sempre più sospettosi e disinformati.

E’ possibile immaginare uno scenario più roseo per un prossimo futuro? Domanda aperta, che secondo me dipenderà molto da quanto l’autorità pubblica saprà influire da un lato sul livello di informazione del consumatore, dall’altro sui suoi vantaggi a scegliere un prodotto green (piuttosto che uno cheap). Nel frattempo, mi ho già prenotato un biglietto per la fiera dell’anno prossimo.

Valentina



Carta d’identità delle aziende ecologiche, segni particolari

7 06 2008

La comunicazione è stata riconosciuta da Kotler in poi, come una delle principali leve del marketing a disposizione delle aziende. Che rilevanza assume nel comparto trasversale de prodotti ecologici?
Questo comparto è, infatti, relativamente nuovo (l’interesse verso queste tematiche è maggiorenne o poco più), e i principali attributi che lo caratterizzano riguardano tematiche e conoscenze spesso molto sofisticate. Molte delle migliorie che i prodotti eco-friendly apportano ai propri settori riguardano , difatti, componenti chimici dai nomi spesso impronunciabili oltre che difficilmente comprensibili e conseguenze che riguardano l’aspetto salutistico che spesso il consumatore medio non maneggia con facilità. In questo quadro, la comunicazione al consumatore diventa uno strumento chiave, per implementare con successo una strategia aziendale fondata sull’ecologico.
Come raggiungere il consumatore con queste informazioni? Secondo il sondaggio condotto da acquisti verdi.it, la maggior parte delle aziende utilizza il canale web, sia attraverso il proprio sito o siti generici, che attraverso portali specializzati, per promuovere i propri prodotti. Si sottolinea quindi una grande importanza del web: non solo è un’importante strumento di comunicazione ma anche, come si era visto nei precedenti post, un’importante canale di vendita dei prodotti ecologici.

Nella comunicazione, le aziende censite mettono in risalto il rispetto per l’ambiente (24%), seguito dalla qualità del prodotto (22%) mentre solo in terza posizione si trovano le certificazioni (11%). Nonostante questa bassa percentuale che punta sulla certificazione come mezzo di comunicazione, il 52% di esse ritiene che esse siano utili nell’orientare le scelte del consumatore. Interessante notare anche che solo un anno prima questa percentuale era molto più bassa, il 32%.
Un ulteriore 36% ritiene che questo strumento efficace, ma solo se il costo del prodotto certificato non è eccessivamente più alto del corrispettivo non certificato.
La fiducia nei confronti delle certificazioni è dunque alta e presenta un forte trend di crescita, riflettendo forse anche una crescente conoscenza del consumatore che comincia a riconoscere loghi e significati delle diverse certificazioni presenti sul mercato.

Ancora una volta emerge quindi l’importanza delle consapevolezza dei consumatori come traino del mercato ecologico. Una conferma viene dalle aziende stesse: il 51% ha dichiarato che il fattore più importante per lo sviluppo del prodotto ecologico è proprio l’aumento della sensibilizzazione dei consumatori, molto più che l’evoluzione della legislazione (24%) o la maggiore presenza nei circuiti della grande distribuzione (22%).

Valentina



Il Green Global Banking Award

3 04 2008

Possono le banche e le istituzioni finanziarie, con iniziative commerciali, campagne di comunicazione e strategie di marketing, diventare il perno di uno sviluppo che possa dirsi sostenibile? Quali possono essere i modelli da seguire, i valori da condividere, le idee nuove da proporre per realizzare tutto ciò? In risposta a queste domande Globiz, società specializzata in progetti di marketing ad alto contenuto di valore, ha ideato il progetto Green Globe Banking, un nuovo approccio destinato alle banche italiane e al sistema finanziario e assicurativo. In questa ottica è stato istituito il Green Global Banking Award, il primo riconoscimento nazionale alle best practice del sistema bancario in tema di impatto ambientale indiretto. Obiettivo del premio è incentivare il settore alla realizzazione di attività e investimenti ecoefficienti che tutelino e a valorizzino il ‘capitale naturale’ rendendolo disponibile anche alle generazioni future. Verranno premiate le iniziative attuate da istituzioni bancarie e finanziare che contribuiscano concretamente alla realizzazione di un sistema di sviluppo territoriale sostenibile tramite la promozione di appositi progetti, politiche aziendali, campagne di comunicazione, strategie commerciali e di marketing. I principali criteri per l’assegnazione del premio sono:
·Effettiva portata degli effetti delle politiche aziendali sull’ambiente e sulla diffusione della cultura ambientale [EFFICACIA];
·Risorse impiegate e sistematicità degli interventi messi in campo [STRATEGIA];
·Capacità di rendere la sostenibilità ambientale una vera fonte di ricavi [PROFITABILITY];
·Diffusione dell’iniziativa nel bacino di gravitazione della banca [COMUNICAZIONE]
Contestualmente alla premiazione sarà tenuta una conferenza che faccia il punto sullo stato del marketing bancario ‘verde’in Italia, con la presentazione di iniziative internazionali d’avanguardia e con l’obbiettivo di individuare nuovi percorsi di sviluppo.

Paolo