Dalla sostenibilità nelle catene del valore secondo Kraft.

1 05 2010

Da dove partire per ridurre gli impatti ambientali sul pianeta delle attività industriali?

Per anni il mondo ha guardato ai politicanti per trovare una soluzione al problema dell’uso spropositato di risorse non rinnovabili e dell’inquinamento di aria, terra, acqua generate dalla produzione e dal consumo di prodotti e servizi, ma i risultati non si sono dimostrati esaltati. Si sta invece facendo invece sempre più strada l’idea di un approccio bottom up, guardando alla spinta innovativa di imprese che possano canalizzare le proprie entrate verso prodotti a basso impatto ambientale. Un ruolo rilevante in questo senso possono giocare le grandi imprese, che forti di grandi volumi di acquisto e di vendita e di potere di mercato, possono generare maggiori impatti, evitando lentezze e compromessi che sono inevitabili componenti dell’attività politica. Ma come possono le aziende diventare “green”?

Qualche risposta da un intervento alla Nicholas School of the Environment a Duke University del vice responsabile della sostenibilità di Kraft Food, multinazionale seconda solo a Nestlè come produttore di prodotti alimentari&C.

Profitable green. La sostenibilità ambientale è una lente attraverso cui leggere l’attività innovativa ma che non può prescindere da obbiettivi di ritorno sugli investimenti e profittabilità. Prodotto per prodotto, problema ambientale per problema ambientale quindi, l’azienda sceglie di investire in progetti che permettono una contemporanea riduzione dei costi produttivi (magari utilizzando propri scarti produttivi) o la realizzazione di maggiori volumi (grazie all’azione congiunta del marketing che valorizza le caratteristiche di sostenibilità del prodotto agli occhi del consumatore).

Be creative: I problemi ambientali non sono semplici nè hanno soluzioni univoche. Piuttosto, implicano spesso dei trade-off, vista anche la mancanza di tecnologie alternative a quelle impattanti che permettano simili costi. è questo quindi il dominio ideale dell’attività innovativa dell’impresa. Qualche esempio per quanto riguarda il packaging. Molti dei materiali utilizzati per confezionare prodotti alimentari non sono riciclabili e non vi sono al momento alternative a minor impatto ambientale che permettano gli stessi bassi costi. Cambiare il materiale impiegato è però solo una delle possibili soluzioni. Per il brand di caffè inglese Kenko, l’azienda ha agito sulle diverse modalità d’uso del prodotto, riducendo del 97% il packaging vendendo, invece che il solito barattolone usa e getta, pacchi di caffè refill, da svuotare a casa in un barattolone multiuso. Un altro approccio utilizzato per evitare il collo di bottiglia tecnologico, è quello dell’ “up-cycling”: insieme all’azienda TerraCycle, Kraft ha realizzato un sistema che incoraggia i consumatori a riciclare le confezioni dei propri prodotti, che saranno poi trasformati da TerraCycle in borsette o giochi per bambini.

Ridurre gli impatti oltre le proprie attività produttive. Il luogo da cui le aziende partono per ridurre il proprio impatto ambientale sono le attività produttive che hanno luogo all’interno delle proprie mura. Riduzione del fabbisogno energetico, dell’inquinamento atmosferico, degli sprechi produttivi, energie rinnovabili sui tetti. Se è vero che questo approccio è più semplice, permettendo un controllo diretto, non permette tuttavia di ridurre i maggiori impatti ambientali, che spesso sono generati dalle attività di fornitori e altri attori a monte della catena del valore, esterni al controllo diretto dell’azienda. Come risolvere questo problema? Anche in questo caso, l’esempio di Kraft punta verso soluzioni case-to-case. Nel caso ci siano delle certificazioni ambientali valide e i prodotti in questione permettano maggiori ritorni, come nel caso del caffè Kenko, l’azienda sceglie di rifornirsi solo da fornitori certificati. In altri casi, invece, l’azienda sceglie di collaborare con i propri fornitori esistenti, esponendo i propri obbiettivi di sostenbilità e lavorando insieme sulle possibili soluzioni. In ogni caso, il modello “d’imposizione” non sembra funzionare: neanche multinazionali della stazza di Kraft riescono ad esercitare sufficiente potere su fornitori indipendenti. Inoltre il richiedere regole precise a volte diventa controproducente, non permettendo la flessibilità necessaria per affrontare al meglio i trade-off legati ai problemi di sostenibilità. L’esempio di Kraft racconta che incentivare l’attività del fornitore, piuttosto che pretendere, si dimostra la soluzione migliore per rendere verde la propria catena del valore.

Valentina



Sostenibilità: un trend nel settore del legno-arredo

19 10 2009

Venerdì sono stata a FUTSU, convention dedicata agli ultimi aggiornamenti sull’industria del legno-arredo. L’evento, organizzato dal Consorzio Universitario di Pordenone, è stato strategicamente realizzato in concomitanza con il salone internazionale dei componenti e accessori per il mobile, il SICAM, a Pordenone.

Molti i diversi relatori che si sono susseguiti sul palco, provenienti sia dal mondo aziendale che della ricerca o dell’università. L’intenso e pretenzioso programma era stato suddiviso in quattro macro sezioni (ambiente, IT, nuovi materiali, trend globali) che declinassero in modo diverso ma complementare quali siano le nuove sfide e prospettive per gli attori del comparto.

aziendale con il tema del rispetto dell’ambiente.Una rassegna nel nome della sostenibilità ambientale, come è stato chiaro già dalla scelta dello speaker che ha introdotto FUTSU, Gabriele Centazzo, l’imprenditore di Valcucine noto per aver legato il suo successo. Nonostante fosse teoricamente l’argomento solo della prima sessione, l’ambiente e lo sviluppo sostenibile sono stati in qualche modo il lait motiv dell’intera giornata. Non solo discutendo di strategie di comunicazione e innovazione (con le testimonianze di COPAT e IKEA e i rapporti di Federlegno Arredo) ma anche affrontando i temi dei nuovi materiali, vuoi perchè realizzati a partire da materiali riciclati, vuoi perchè realizzati riducendo l’impiego di energia e materie prime fossili, vuoi perchè implichino processi di produzione meno impattanti sull’ambiente.

La ricorrenza delle tematiche della sostenibilità sembra essere un indice del fatto che essa rappresenta uno dei trend principali che sta motivando l’innovazione nel settore. Un elemento che è emerso da quasi tutte le relazioni che hanno toccato questi temi è che essenziale per lo sviluppo e il successo di innovazioni sostenibili è in primo luogo la conoscenza e poi la consapevolezza, sia da parte dei consumatori che delle aziende stesse. In questo senso le certificazioni ambientali si sono dimostrate un utile strumento, nelle parole delle aziende e dei rappresentanti del distretto o delle associazioni industriali, per monitorare le proprie performance ambientali e per comunicarle ai consumatori. Conoscenza, indispensabile per realizzare le innovazioni sostenibili, che spesso viene costruita insieme a soggetti esterni all’impresa: fornitori o KIBS, come il CATAS, centro ricerche-sviluppo e laboratorio di prove specializzato nel settore legno-arredo.

Altro aspetto importante e complementare sottolineato da molti speakers è quello dell’importanza del considerare tutti gli attori della catena del valore per poter realizzare innovazioni che riducano concretamente l’impatto sull’ambiente, rispettando la legislazione e facendo leva su queste tematiche sul mercato finale. Mi ha stupito molto che soggetti diversi si siano indirizzate nel sottolineare l’importanza del Life Cycle Thinking: per essere sostenibili è importante selezionare, gestire e controllare anche le fasi a monte e a valle del proprio processo produttivo. Indispensabile in questo senso è la funzione del design, che ad esempio può concepire una cucina in cui tutti i componenti siano facilmente separati gli uni dagli altri, per favorire il riciclo alla fine del ciclo di vita, come l’ultima cucine Valcucine.

Anche il ruolo dei nuovi materiali sembra essere una frontiera promettente per l’innovazione sostenibile nel settore del mobile. I bio-polimeri sembrano essere una tecnologia già in grado di sostituire gli equivalenti a base fossile, senza troppi investimenti nei processi produttivi esistenti, per realizzare prodotti quali le schiume o le vernici.

Insomma, non è sempre vero che le tecnologie alternative non sono già disponibili. Piuttosto forse, esiste un problema di comunicazione e di mancanza di informazioni. Quello che è sicuro, invece, è che in un settore importante per l’economia italiana come quello del legno-arredo innovazione fa sempre più spesso rima con sostenibilità ambientale.

Valentina



L’eco sostenibilità di Philips

9 02 2009

La responsabilità sociale d’impresa è associata da sempre all’idea di grande azienda, che stila un rapporto annuale sulle sue attività pseudo-sostenibili, a livello sociale o ambientale, per purificare la sua immagine agli occhi di consumatori sempre più sospettosi sulla attività produttive delle multinazionali.

Eppure qualche caso positivo di azienda che si muove oltre il “greenwashing” c’è. Prendiamo ad esempio Philips. Multinazionale, produttrice di prodotti ad alto consumo e ad alto consumo energetico, ha il profilo perfetto per il ruolo della “cattivo”. Ma negli ultimi anni ha lanciato una campagna con cui ha completamente ri-disegnato la propria immagine, e si è lanciata anche in una serie di iniziative a livello ambientale che la rendono uno dei casi più interessanti sul panorama internazionale. Ciò che rende interessante, secondo me, il caso Philips è il fatto che è riuscita nell’arduo compito di conciliare rispetto per l’ambiente e profittabilità, aumentando la propria capacità competitiva tanto da contribuire a risolevarla dalle cattive acque in cui ha navigato. E il tutto grazie anche a una campagna pubblicitaria intensiva e soprattutto coerente con la nuova strategia aziendale.

Ma cosa ha fatto di concreto Philips per meritarsi tanta attenzione (e anche successo di mercato)? La storia ambientale di Philips inizia nel 1994, con i primi miglioramenti ambientali che ora si sono evoluti nel quarto EcoVision program, lanciato nel 2007; una sorta di dichiarazione d’intenti che punta a generare il 30% dei profitti dell’azienda grazie proprio ai prodotti verdi, raddoppiare gli investimenti green e migliorare l’efficienza ambientale dei propri processi produttivi. E fin qui niente di nuovo. Ma la parte che mi ha interessato di più, da markettara, è stato la lettura del Green Flagship Project, che assegna un marchio, il Philips Green Logo, ai (propri) prodotti che hanno delle peformance ambientali superiori agli altri prodotti nel mercato. L’idea è che mentre ci possono essere molti prodotti green, solo i migliori possono ricevere il Green Flagship status. Grazie a questo logo, e alla campagna di comunicazione che lo supporta, ad ogni consumatore è assolutamente chiaro, quando entra in un ferramenta o in un Euronics, quale sia il prodotto che ha migliori performance ambientali, anche se magari era partito da casa senza nemmeno pensare a questa caratteristica come a una variabile del suo processo d’acquisto.
Un’idea originale, quella di apporre un proprio marchio ai prodotti per segnalarne la posizione relativa, più che un risultato assoluto, che dà comunque un fortissimo ritorno di immagine per i prodotti, senza aver necessariamente “sconvolto” il proprio processo produttivo.

Un po’ di furbizia, un po’ di marketing, un po’ di sana coscienza ambientale e il logo è fatto! C’è da dire che comunque questo marchio è (abbastanza) affidabile, visto che è certificato da parti terze, e soprattutto è uno stimolo verso un eco-design di prodotto per l’azienda. Le aree in cui viene misurata la performance ambientale del prodotto sono sei: l’efficienza energetica, la riciclabilità, la durata del prodotto, il packaging, i materiali (pericolosi) utilizzati/contenuti e il peso del prodotto. Il prodotto con il Green Logo deve avere performance superiori del 10% o più rispetto ai concorrenti in almeno una di queste sei categorie e nelle altre deve garantire almeno lo stesso livello. Questo progetto, in coerenza con gli obiettivi aziendali, ha portato a delle innovazioni di prodotto molto avanzate in Philips, specialmente nel settore illuminazione, dove possiede la leadership a livello mondiale, settore in cui ha realizzato interessanti prodotti che raggiungono un risparmio energetico della metà rispetto ai sistemi di illuminazione tradizionali (con prodotti per l’illuminazione pubblica) o addirittura dell’80% (con le lampade a LED).

La bella notizia che impariamo da Philips è che realizzare innovazioni eco-sostenibili non solo si può, ma anche può rappresentare un settore ad ampi profitti. Di più, che affinché questo sia possibile questo sforzo di eco-design deve essere sviluppato coerentemente e in concomitanza con attività di comunicazione e più in generale con la strategia aziendale a livello più ampio, in modo da poter beneficiare anche dei ritorni d’immagine relativi, oltre che dall’eco-efficienza in produzione.

Valentina



Carta d’identità delle aziende ecologiche, segni particolari

7 06 2008

La comunicazione è stata riconosciuta da Kotler in poi, come una delle principali leve del marketing a disposizione delle aziende. Che rilevanza assume nel comparto trasversale de prodotti ecologici?
Questo comparto è, infatti, relativamente nuovo (l’interesse verso queste tematiche è maggiorenne o poco più), e i principali attributi che lo caratterizzano riguardano tematiche e conoscenze spesso molto sofisticate. Molte delle migliorie che i prodotti eco-friendly apportano ai propri settori riguardano , difatti, componenti chimici dai nomi spesso impronunciabili oltre che difficilmente comprensibili e conseguenze che riguardano l’aspetto salutistico che spesso il consumatore medio non maneggia con facilità. In questo quadro, la comunicazione al consumatore diventa uno strumento chiave, per implementare con successo una strategia aziendale fondata sull’ecologico.
Come raggiungere il consumatore con queste informazioni? Secondo il sondaggio condotto da acquisti verdi.it, la maggior parte delle aziende utilizza il canale web, sia attraverso il proprio sito o siti generici, che attraverso portali specializzati, per promuovere i propri prodotti. Si sottolinea quindi una grande importanza del web: non solo è un’importante strumento di comunicazione ma anche, come si era visto nei precedenti post, un’importante canale di vendita dei prodotti ecologici.

Nella comunicazione, le aziende censite mettono in risalto il rispetto per l’ambiente (24%), seguito dalla qualità del prodotto (22%) mentre solo in terza posizione si trovano le certificazioni (11%). Nonostante questa bassa percentuale che punta sulla certificazione come mezzo di comunicazione, il 52% di esse ritiene che esse siano utili nell’orientare le scelte del consumatore. Interessante notare anche che solo un anno prima questa percentuale era molto più bassa, il 32%.
Un ulteriore 36% ritiene che questo strumento efficace, ma solo se il costo del prodotto certificato non è eccessivamente più alto del corrispettivo non certificato.
La fiducia nei confronti delle certificazioni è dunque alta e presenta un forte trend di crescita, riflettendo forse anche una crescente conoscenza del consumatore che comincia a riconoscere loghi e significati delle diverse certificazioni presenti sul mercato.

Ancora una volta emerge quindi l’importanza delle consapevolezza dei consumatori come traino del mercato ecologico. Una conferma viene dalle aziende stesse: il 51% ha dichiarato che il fattore più importante per lo sviluppo del prodotto ecologico è proprio l’aumento della sensibilizzazione dei consumatori, molto più che l’evoluzione della legislazione (24%) o la maggiore presenza nei circuiti della grande distribuzione (22%).

Valentina