Ricerche ecologiche

15 04 2008

Oggi in Australia è stato presentato il motore di ricerca
ecocho.com e lanciato contestualmente in altri 14 paesi.
Che cos’ha di particolare rispetto ai motori di ricerca ai quali siamo abituati? Nulla sotto l’aspetto tecnico, in effetti si tratta di una semplice maschera che permette agli internauti di effettuare ricerche utilizzando i conosciuti yahoo o google. La novità sta nella missione di Ecocho: per ogni mille ricerche verranno piantati fino a due alberi, in modo da compensare l’emissione dei gas serra. Oltre alla homepage vi sono importanti strumenti accessori che lo rendono compatibile con i più noti social network quali facebook, myspace…
Il fondatore di Ecocho, l’australiano Tim Macdonald ricorda come solo in australia vengano effettuate al mese 800 milioni di ricerche su internet dunque, proiettando queste cifre a livello mondiale, si può facilmente capire l’elevato potenziale di questa iniziativa.
Il modello di business su cui si fonda è molto semplice: tramite advertising sul sito offrire un servizio di ricerche informatiche gratuito.
Ecocho acquisterà crediti di emissione di carbonio attraverso il New South Wales Government Greenhouse Gas Abatement Scheme (GGAS), mentre la KPMG avrà il compito di controllare l’acquisizione, la registrazione e il ritiro dei crediti del carbonio. La strategia della società prevede, una volta preso piede il progetto, il reinvestimento del 70% del fatturato in rediti di emissione di carbonio e la messa in atto di ulteriori progetti che hanno a che fare con la sostenibilità ambientale.
L’iniziativa è indubbiamente interessante e personalmente ritengo sia utile investirci e promuoverla il più possibile ma sarà altresì importante svolgere tutti noi uno sforzo di monitoraggio continuo perchè le promesse siano mantenute.

Nicholas



Il Green Global Banking Award

3 04 2008

Possono le banche e le istituzioni finanziarie, con iniziative commerciali, campagne di comunicazione e strategie di marketing, diventare il perno di uno sviluppo che possa dirsi sostenibile? Quali possono essere i modelli da seguire, i valori da condividere, le idee nuove da proporre per realizzare tutto ciò? In risposta a queste domande Globiz, società specializzata in progetti di marketing ad alto contenuto di valore, ha ideato il progetto Green Globe Banking, un nuovo approccio destinato alle banche italiane e al sistema finanziario e assicurativo. In questa ottica è stato istituito il Green Global Banking Award, il primo riconoscimento nazionale alle best practice del sistema bancario in tema di impatto ambientale indiretto. Obiettivo del premio è incentivare il settore alla realizzazione di attività e investimenti ecoefficienti che tutelino e a valorizzino il ‘capitale naturale’ rendendolo disponibile anche alle generazioni future. Verranno premiate le iniziative attuate da istituzioni bancarie e finanziare che contribuiscano concretamente alla realizzazione di un sistema di sviluppo territoriale sostenibile tramite la promozione di appositi progetti, politiche aziendali, campagne di comunicazione, strategie commerciali e di marketing. I principali criteri per l’assegnazione del premio sono:
·Effettiva portata degli effetti delle politiche aziendali sull’ambiente e sulla diffusione della cultura ambientale [EFFICACIA];
·Risorse impiegate e sistematicità degli interventi messi in campo [STRATEGIA];
·Capacità di rendere la sostenibilità ambientale una vera fonte di ricavi [PROFITABILITY];
·Diffusione dell’iniziativa nel bacino di gravitazione della banca [COMUNICAZIONE]
Contestualmente alla premiazione sarà tenuta una conferenza che faccia il punto sullo stato del marketing bancario ‘verde’in Italia, con la presentazione di iniziative internazionali d’avanguardia e con l’obbiettivo di individuare nuovi percorsi di sviluppo.

Paolo



Questo pacco non s’ha da fare!

10 03 2008

Dopo le nuove polemiche sul ritorno dei rifiuti in centro a Napoli, si riaccende la polemica sull’emergenza rifiuti.
Anche in questo ambito, si può dire valga il vecchio detto: “prevenire è meglio che curare”. Perfino nel capoluogo campano se ne sono accorti, tanto che le amministrazioni si sono prodigate in promesse (elettorali o meno, sarà da verificare) su un fantomatico inizio della raccolta differenziata dei rifiuti. Visto che le discariche non le vuole nessuno (o quasi) e che neppure lo smaltimento dei rifiuti tramite inceneritori o altro non gode di grandi simpatie, la soluzione per far contenti tutti sempre stia a monte, riducendo la produzione dei rifiuti.

Un primo modo per iniziare in questa direzione è quello di ridurre l’utilizzo di imballaggi, che danneggiano l’ambiente ma anche il portafoglio. Gli imballaggi, che generano ogni anno 12 milioni di tonnellate di rifiuti in Italia, con un aumento del 9% rispetto al 2000, rappresentano anche un costo importante, soprattutto nei prodotti commodity. Secondo un recente rapporto della Coldiretti, infatti, senza imballaggio il prezzo dei prodotti (alimentari) potrebbe diminuire del 30%. I casi più clamorosi citati nel rapporto sono quelli di lattuga e pomodori: il primo passa da 1,5 euro a 8 per il solo confezionamento e lavaggio, il secondo riserva all’imballaggio una percentuale doppia di quello che è il guadagno del produttore.

Il rapporto si concentra solo nel settore alimentare, non restituendo quindi un immagine completa del problema, ma se si pensa che gli alimentari sono i responsabili del due terzi del totale della produzione di rifiuti da imballaggio è facilmente immaginabile l’ampio margine di guadagno che si potrebbe ottenere con una gestione più oculata del packaging.

Insomma, ridurre l’utilizzo di imballaggi, senza incidere sulla capacità di proteggere il prodotto, è un modo di ridurre la produzione di rifiuti che potrebbe far ridurre, in modo anche considerevole, pure la spesa dell’italiano medio. Dunque che cosa non funziona in Italia se ancora questi risultati non sono stati raggiunti?

Valentina



Questa zuppa sa di plastica

9 02 2008

E’ stata scoperta da una decina d’anni ma ha ottenuto il suo momento di notorietà solo ora. Messa in prima pagina dall’Indipendent ha attirato la mia attenzione quando è approdata anche su quella del Metro di Padova: il nuovo disastro ambientale, quello che i biologi marini chiamano la zuppa di plastica, ha guadagnato l’attenzione davvero di tutti i giornali.
Questa zuppa, è una massa di spazzatura di plastica, scoperta quasi per caso nell’oceano Pacifico da un ricco ereditiero sfaccendato, Charles Moore, che ha formato una fondazione per combatterla.

Una zuppa riscaldata a dire il vero: non è una novità che l’oceano sia diventato una discarica più o meno abusiva che raccoglie spazzatura proveniente da navi e pozzi petroliferi ma anche e soprattutto dalle zone costiere. La differenza sta solo nella dimensione. Le due masse individuate, sono come delle isole, una un po’ più grande, a est delle Hawaii e l’altra, più piccola, a ridosso del Giappone sono costituite da un totale di 100 milioni di tonnellate di plastica che si estende per 500 miglia nautiche. Una massa che, nessuno dubita, continuerà ad aumentare nei prossimi anni.

Un altro disastro che richiama l’attenzione sulla necessità di porre attenzione alle preservazione dell’ambiente e sulla necessità di una gestione più accurata del ciclo dei rifiuti.
Anche e soprattutto in Italia, dove, aldilà dell’urgenza campana, i dati dell’ultimo rapporto APAT confermano che la produzione nazionale di rifiuti continua a crescere e si attesta, nel 2006, a 32,5 milioni di tonnellate, 2,7% in più dell’anno precedente, con un aumento più consistente, a sorpresa, nel Nord.
E la raccolta differenziata è ancora lontana dall’obiettivo del 40%. A livello nazionale, infatti, rappresenta solo il 25,8% della produzione totale dei rifiuti urbani, troppo poco in più rispetto al 24,2% del 2005. E’ soprattutto il divario tra le diverse macro geografiche a pesare sul conto totale; infatti, mentre il Nord vanta un tasso di raccolta pari al 40%, il Centro ed il Sud, con percentuali rispettivamente pari al 20% ed al 10,2%, risultano ancora decisamente lontani dall’obiettivo proposto per legge.

Riuscirà un aumento della raccolta differenziata a salvarci dalle zuppe di plastica e dalle montagne di rifiuti?
Una verifica dei dati su Venezia, intanto, dà risultati scoraggianti: a Venezia rappresenta solo il 16,9% sul totale dei rifiuti, contro il 41,1% di Padova.

Valentina



Masdar: la città eco sostenibile

17 01 2008

Pochi se ne sono accorti, ma l’ultimo viaggio di Bush in Medio Oriente non è trascorso solo a parlare di pace in MO e del futuro di Iraq ed Iran. Una delle sue ultime tappe, infatti, sono stati gli Emirati Arabi dove gli è stato presentato il progetto di Masdar, letteralmente sorgente. Il progetto, fortemente voluto dal sultanato, consiste nella realizzazione di un intera città eco-compatibile. Masdar City, disegnata dallo studio di architettura londinese Foster and Partners, sarà una vera città, in grado di ospitare 50.000 abitanti e realizzata nel cuore di Abu Dhabi.

Non solo petrolio e raffinerie dunque: anche gli Emirati, simbolo della dipendenza da fonti di energie fossili, stanno investendo in nuove direzioni, direzioni decisamente più green.
Il progetto prevede, infatti, diversi impianti fotovoltaici, solari ed eolici, oltre ad una struttura di desalinazzazione alimentata dal sole. Vista la location di Masdar infatti, è stato giustamente progettato lo sfruttamento della fonte di energia più diffusa, il sole, che non sarà però la sola.
La città, che stando ai progetti sarà abitabile già nel 2009, sfrutterà anche le risorse idriche di scarto e i rifiuti generati dalla capitale.
Il 99% dei rifiuti sarà riciclato o finirà in compostaggio e termovalorizzatori, mentre per il trasporto sarà favorito quello pubblico, car sharing e mezzi a bassa emissione.

Molto intelligente anche la dinamica di costruzione: si partirà da una centrale fotovoltaica di 40 megawatt che fornirà energia per la successiva costruzione di case, aziende (specializzate in energie rinnovabili e simili of course!) ma anche università e centri di ricerca. Il Masdar Institute of Science and Technology godrà di appoggi prestigiosi: l’MIT ha firmato un accordo per realizzare e commercializzare i progetti del MIST che saranno tutti incentrati, manco a dirlo, su energie alternative e dintorni.

La costruzione di un progetto grandioso come quello di Masdar, bisogna ammetterlo, è stata resa possibile grazie ad grande disponibilità di fondi neanche lontanamente immaginabili nella realtà italiana. Tuttavia, questo esempio può fornire degli spunti interessanti anche per il nostro contesto. Per arrivare ad esempi come questi non serve necessariamente investire il 50% del PIL nazionale: basta iniziare ad investire per un green building.

Per approfondire



Eco Chic

12 01 2008

Vivere sostenibile non significa necessariamente una vita di rinunce e privazioni. Non solo abbassare la temperatura del termostato di casa e rinunciare a comprarsi vestiti nuova moda per non innescare il meccanismo del consumismo sfrenato. Dal mondo dell’architettura arrivano invece nuove proposte per coniugare lusso, design e sostenibilità.
Mi riferisco agli ZEB, sigla misteriosa che sta per Zero Energy Building o edifici passivi, secondo la dicitura più diffusa.
Questi edifici sono costruiti per minimizzare i consumi energetici, grazie all’utilizzo di piccoli accorgimenti pratici o di nuove sofisticate tecnologie che permettono isolamento termico, recupero del calore, mantenimento della qualità dell’aria e quant’altro. Ovviamente il tutto con foggia assolutamente design-oriented, realizzando una mescolanza perfetta tra sostenibilità ambientale e arte.
I costi rendono queste case ancora troppo di lusso per un mercato di massa, ma i suoi fautori promettono dei rientri abbastanza veloci dell’investimento grazie ai risparmi in energia.

Nonostante l’enfasi sul problema della sostenibilità ambientale sia abbastanza recente, i primi ZEB risalgono già agli inizi degli anni ’90, nella cara vecchia Germania, ovviamente, mentre nell’America dei SUV il primo ZEB è sbarcato solo nel 2003… E in Italia?

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Valentina