Dalla sostenibilità nelle catene del valore secondo Kraft.

1 05 2010

Da dove partire per ridurre gli impatti ambientali sul pianeta delle attività industriali?

Per anni il mondo ha guardato ai politicanti per trovare una soluzione al problema dell’uso spropositato di risorse non rinnovabili e dell’inquinamento di aria, terra, acqua generate dalla produzione e dal consumo di prodotti e servizi, ma i risultati non si sono dimostrati esaltati. Si sta invece facendo invece sempre più strada l’idea di un approccio bottom up, guardando alla spinta innovativa di imprese che possano canalizzare le proprie entrate verso prodotti a basso impatto ambientale. Un ruolo rilevante in questo senso possono giocare le grandi imprese, che forti di grandi volumi di acquisto e di vendita e di potere di mercato, possono generare maggiori impatti, evitando lentezze e compromessi che sono inevitabili componenti dell’attività politica. Ma come possono le aziende diventare “green”?

Qualche risposta da un intervento alla Nicholas School of the Environment a Duke University del vice responsabile della sostenibilità di Kraft Food, multinazionale seconda solo a Nestlè come produttore di prodotti alimentari&C.

Profitable green. La sostenibilità ambientale è una lente attraverso cui leggere l’attività innovativa ma che non può prescindere da obbiettivi di ritorno sugli investimenti e profittabilità. Prodotto per prodotto, problema ambientale per problema ambientale quindi, l’azienda sceglie di investire in progetti che permettono una contemporanea riduzione dei costi produttivi (magari utilizzando propri scarti produttivi) o la realizzazione di maggiori volumi (grazie all’azione congiunta del marketing che valorizza le caratteristiche di sostenibilità del prodotto agli occhi del consumatore).

Be creative: I problemi ambientali non sono semplici nè hanno soluzioni univoche. Piuttosto, implicano spesso dei trade-off, vista anche la mancanza di tecnologie alternative a quelle impattanti che permettano simili costi. è questo quindi il dominio ideale dell’attività innovativa dell’impresa. Qualche esempio per quanto riguarda il packaging. Molti dei materiali utilizzati per confezionare prodotti alimentari non sono riciclabili e non vi sono al momento alternative a minor impatto ambientale che permettano gli stessi bassi costi. Cambiare il materiale impiegato è però solo una delle possibili soluzioni. Per il brand di caffè inglese Kenko, l’azienda ha agito sulle diverse modalità d’uso del prodotto, riducendo del 97% il packaging vendendo, invece che il solito barattolone usa e getta, pacchi di caffè refill, da svuotare a casa in un barattolone multiuso. Un altro approccio utilizzato per evitare il collo di bottiglia tecnologico, è quello dell’ “up-cycling”: insieme all’azienda TerraCycle, Kraft ha realizzato un sistema che incoraggia i consumatori a riciclare le confezioni dei propri prodotti, che saranno poi trasformati da TerraCycle in borsette o giochi per bambini.

Ridurre gli impatti oltre le proprie attività produttive. Il luogo da cui le aziende partono per ridurre il proprio impatto ambientale sono le attività produttive che hanno luogo all’interno delle proprie mura. Riduzione del fabbisogno energetico, dell’inquinamento atmosferico, degli sprechi produttivi, energie rinnovabili sui tetti. Se è vero che questo approccio è più semplice, permettendo un controllo diretto, non permette tuttavia di ridurre i maggiori impatti ambientali, che spesso sono generati dalle attività di fornitori e altri attori a monte della catena del valore, esterni al controllo diretto dell’azienda. Come risolvere questo problema? Anche in questo caso, l’esempio di Kraft punta verso soluzioni case-to-case. Nel caso ci siano delle certificazioni ambientali valide e i prodotti in questione permettano maggiori ritorni, come nel caso del caffè Kenko, l’azienda sceglie di rifornirsi solo da fornitori certificati. In altri casi, invece, l’azienda sceglie di collaborare con i propri fornitori esistenti, esponendo i propri obbiettivi di sostenbilità e lavorando insieme sulle possibili soluzioni. In ogni caso, il modello “d’imposizione” non sembra funzionare: neanche multinazionali della stazza di Kraft riescono ad esercitare sufficiente potere su fornitori indipendenti. Inoltre il richiedere regole precise a volte diventa controproducente, non permettendo la flessibilità necessaria per affrontare al meglio i trade-off legati ai problemi di sostenibilità. L’esempio di Kraft racconta che incentivare l’attività del fornitore, piuttosto che pretendere, si dimostra la soluzione migliore per rendere verde la propria catena del valore.

Valentina



L’eco sostenibilità di Philips

9 02 2009

La responsabilità sociale d’impresa è associata da sempre all’idea di grande azienda, che stila un rapporto annuale sulle sue attività pseudo-sostenibili, a livello sociale o ambientale, per purificare la sua immagine agli occhi di consumatori sempre più sospettosi sulla attività produttive delle multinazionali.

Eppure qualche caso positivo di azienda che si muove oltre il “greenwashing” c’è. Prendiamo ad esempio Philips. Multinazionale, produttrice di prodotti ad alto consumo e ad alto consumo energetico, ha il profilo perfetto per il ruolo della “cattivo”. Ma negli ultimi anni ha lanciato una campagna con cui ha completamente ri-disegnato la propria immagine, e si è lanciata anche in una serie di iniziative a livello ambientale che la rendono uno dei casi più interessanti sul panorama internazionale. Ciò che rende interessante, secondo me, il caso Philips è il fatto che è riuscita nell’arduo compito di conciliare rispetto per l’ambiente e profittabilità, aumentando la propria capacità competitiva tanto da contribuire a risolevarla dalle cattive acque in cui ha navigato. E il tutto grazie anche a una campagna pubblicitaria intensiva e soprattutto coerente con la nuova strategia aziendale.

Ma cosa ha fatto di concreto Philips per meritarsi tanta attenzione (e anche successo di mercato)? La storia ambientale di Philips inizia nel 1994, con i primi miglioramenti ambientali che ora si sono evoluti nel quarto EcoVision program, lanciato nel 2007; una sorta di dichiarazione d’intenti che punta a generare il 30% dei profitti dell’azienda grazie proprio ai prodotti verdi, raddoppiare gli investimenti green e migliorare l’efficienza ambientale dei propri processi produttivi. E fin qui niente di nuovo. Ma la parte che mi ha interessato di più, da markettara, è stato la lettura del Green Flagship Project, che assegna un marchio, il Philips Green Logo, ai (propri) prodotti che hanno delle peformance ambientali superiori agli altri prodotti nel mercato. L’idea è che mentre ci possono essere molti prodotti green, solo i migliori possono ricevere il Green Flagship status. Grazie a questo logo, e alla campagna di comunicazione che lo supporta, ad ogni consumatore è assolutamente chiaro, quando entra in un ferramenta o in un Euronics, quale sia il prodotto che ha migliori performance ambientali, anche se magari era partito da casa senza nemmeno pensare a questa caratteristica come a una variabile del suo processo d’acquisto.
Un’idea originale, quella di apporre un proprio marchio ai prodotti per segnalarne la posizione relativa, più che un risultato assoluto, che dà comunque un fortissimo ritorno di immagine per i prodotti, senza aver necessariamente “sconvolto” il proprio processo produttivo.

Un po’ di furbizia, un po’ di marketing, un po’ di sana coscienza ambientale e il logo è fatto! C’è da dire che comunque questo marchio è (abbastanza) affidabile, visto che è certificato da parti terze, e soprattutto è uno stimolo verso un eco-design di prodotto per l’azienda. Le aree in cui viene misurata la performance ambientale del prodotto sono sei: l’efficienza energetica, la riciclabilità, la durata del prodotto, il packaging, i materiali (pericolosi) utilizzati/contenuti e il peso del prodotto. Il prodotto con il Green Logo deve avere performance superiori del 10% o più rispetto ai concorrenti in almeno una di queste sei categorie e nelle altre deve garantire almeno lo stesso livello. Questo progetto, in coerenza con gli obiettivi aziendali, ha portato a delle innovazioni di prodotto molto avanzate in Philips, specialmente nel settore illuminazione, dove possiede la leadership a livello mondiale, settore in cui ha realizzato interessanti prodotti che raggiungono un risparmio energetico della metà rispetto ai sistemi di illuminazione tradizionali (con prodotti per l’illuminazione pubblica) o addirittura dell’80% (con le lampade a LED).

La bella notizia che impariamo da Philips è che realizzare innovazioni eco-sostenibili non solo si può, ma anche può rappresentare un settore ad ampi profitti. Di più, che affinché questo sia possibile questo sforzo di eco-design deve essere sviluppato coerentemente e in concomitanza con attività di comunicazione e più in generale con la strategia aziendale a livello più ampio, in modo da poter beneficiare anche dei ritorni d’immagine relativi, oltre che dall’eco-efficienza in produzione.

Valentina



L’Italia della tecnologia verde: parliamo di cogenerazione

9 12 2008

In temi di tecnologie energetiche e del risparmio energetico uno dei settori più interessanti per il mercato italiano è quello della cogenerazione energetica, tecnologia che prevede la produzione combinata e simultanea, in un unico sistema integrato, di energia elettrica e termica in esercizio continuo, partendo da un’unica fonte (fossile o rinnovabile).
I vantaggi forniti da questo tipo di tecnologia sono molteplici, a partire dal significativo risparmio energetico (circa il 30%) rispetto alla produzione separata di energia elettrica e termica di sistemi centralizzati; dal ridotto inquinamento e dalla diminuzione delle  emissioni di CO²) nonché una riduzione degli sprechi delle risorse energetiche tradizionali attraverso un loro utilizzo più efficiente e un annullamento delle perdite di trasmissione lungo la rete di distribuzione.
Una visita presso l’azienda Spark Energy S.p.A. con sede a Possagno (TV), operante da vent’anni nel settore dell’energia e del risparmio energetico, ci ha permesso di approfondire ulteriormente le caratteristiche di questa tecnologia nonché lo stato del mercato italiano. La società è di piccole dimensioni –ha un organico di 23 persone- ma detiene una buona quota del mercato nazionale, quasi l’8%, che in un mercato altamente frammentato e artigianale come quello della cogenerazione è una cifra di tutto rispetto. L’azienda è sicuramente un’esempio di successo imprenditoriale, che ha avuto riscontro anche dal proprio mercato, se consideriamo che il fatturato dell’azienda nell’ultimo anno è più che triplicato, grazie soprattutto alla diffusione della cogenerazione energetica nel settore terziario. La società dal 2006 è parte del Gruppo Riello S.p.A. che ha deciso di entrare nel mercato dell’energia acquisendo Coge Engineering, l’area commerciale, R&D e industriale della cogenerazione e trigenerazione (tecnologia che prevede la produzione di elettricità, riscaldamento e condizionamento) di Spark Energy, istituendo così la Coge Engineering S.r.l., diventata nel 2008 RielloEway, centro di eccellenza di sistemi ad alta efficienza. L’appartenenza a questo grande gruppo industriale è stata sicuramente molto positiva per RielloEway, garantendo sinergie sia dal punto di vista della progettazione e del know how che dal punto di vista commerciale, grazie alla presenza capillare di installatori del gruppo nel territorio italiano. L’azienda è forte anche di know how e competenze tecniche ventennali che le hanno permesso di specializzarsi nella produzione di soluzioni tecnologiche personalizzate che, a differenza dei grandi concorrenti tedeschi e inglesi, permettono flessibilità e modularità degli impianti realizzati.
In Italia, paese ad elevato fabbisogno energetico e fortemente dipendente dall’importazione di energia, solo l’8% della produzione energetica è generato mediante cogenerazione, contro il 53% della Danimarca, il 38% dell’Olanda e il 35% della Finlandia, per citare solo alcuni tra i più virtuosi esempi europei. Naturalmente le lacune – non solo legislative- della politica energetica nazionale italiana, non aiutano di certo lo sviluppo e la diffusione di questa tecnologia nel nostro paese.
Ma il mercato potenziale di questo tipo di tecnologia è molto ampio, soprattutto in prospettiva delle nuove direttive europee in termini di risparmio energetico e riduzione delle emissioni. Infatti, a trarre vantaggio dall’applicazione della tecnologia cogenerativa possono essere attività appartenenti tanto al settore industriale (specialmente industrie alimentari, tessili, conciarie, farmaceutiche, della ceramica, della gomma e delle materie plastiche,…), quanto a quello terziario (ospedali, case di cura, strutture alberghiere e residenziali, uffici e centri sportivi, ecc). E’ proprio a questo secondo settore che RielloEway vuole maggiormente rivolgersi, per fare leva sul potenziale inespresso del mercato dei cogeneratori di più piccole dimensioni, a coprire le necessità di strutture residenziali e di servizi.

RielloEway è il classico esempio di azienda all’italiana, che ha maturato un esperienza ventennale nella realizzazione su commessa e si differenzia dai concorrenti, le grandi straniere Vaillant o Baxi, proprio per la sua capacità di customizzare il prodotto e realizzare impianti flessibili e modulari. Ma ha sviluppato queste caratteristiche tipiche del Made in Italy in un comparto a forte contenuto tecnologico e con un alto impatto a livello ambientale, a ricordarci che il nostro tessuto industriale può avere importanti carte da giocarsi anche in questi settori.

Scila



Spring Color, ovvero della vernice al latte

20 06 2008

Negli ultimi periodi si è assistito ad un proliferare di prodotti biologici, ecologici o presunti tali, di marchi e certificazioni e ad un allargamento trasversale del numero di produttori che si muovono in direzioni ecologiche e sostenibili. E una delle motivazioni principali che induce una domanda sempre più consistente a sostenere questi comparti è l’attenzione alla salute. Una sensazione di diffidenza e preoccupazione sulla salubrità dei prodotti di cui si circonda ogni giorno cresce tra i consumatori, giustificata ed alimentata da scandali quali quelli della mozzarella alla diossina o dei giocattoli tossici cinesi, che chiede a gran forza una maggiore trasparenza d’informazione e più sicurezza.

E’ a questi bisogni che Spring Color risponde. Produttrice marchigiana a conduzione familiare di vernici e pitture, ha riconvertito completamente la propria produzione al naturale dopo aver sperimentato sulla pelle degli stessi proprietari, quali siano gli effetti nocivi dell’utilizzo di componenti chimici nella produzione di pigmenti, calci e vernici, che colpiscono anche chi, come ognuno di noi, passa la maggior parte della vita circondato da muri ricoperti di vernici tossiche.
Il proprietario Roberto Mosca si è quindi tirato su le maniche e ha sviluppato, soprattutto attraverso attività di ricerca e sviluppo interne, una linea assolutamente innovativa di prodotti, spulciando tra manuali medici carbonari e manoscritti su tecniche di verniciatura antiche. La combinazione tra queste informazioni, l’esperienza professionale maturata in 4 generazioni e un continuo processo di adattamento ed esplorazione, ha portato alla creazione di una gamma completa di prodotti completamente naturali (coperti anche da brevetti), che non solo sono più salutari, ma si distinguono anche per migliori prestazioni tecniche (niente più problemi di muffe o di acidificazione del supporto) ed estetiche (sembra che ci riesca ad apprezzare ad occhio nudo la differenza!).

Gli ingredienti utilizzati da Spring Color sono cera d’api e propoli e anche gusci d’uovo e latte scaduto, scarti di produzione di aziende alimentari locali che vengono utilizzando dall’azienda che riesce così a contenere anche i propri costi. Perchè se voleste comprarvi un bidone di vernice per dipingere la vostra nuova casa, scoprireste che il sovrapprezzo per comprare vernici Spring Color (che, per onor del vero, bisogna sottolineare non sia comunque l’unica produttrice di vernici naturali, ndr) è praticamente irrisorio.

Un prodotto insomma che riesce a coniugare salubrità, estetica, rispetto per l’ambiente e convenienza. Il mercato dell’azienda (che vende un quarto dei propri prodotti tra Francia, Belgio e perfino Australia), è forte e in crescita, anche se c’è ancora tanto da fare sul fronte della consapevolezza dei consumatori.
Tanto forte da aver spinto l’imprenditore, sulla base anche di motivazioni etico-ambientaliste più alte, a pensare alla creazione di una rete di produttori, che utilizzino tecnologie e semilavorati Spring Color (coperti da brevetti) sotto proprio marchio, per allargare il mercato e rispondere così al crescente interesse da parte di bio-architetti o semplici privati.

Su FirstDraft si è parlato recentemente del successo di alcune aziende italiane che hanno puntato sulla sostenibilità, sottolineando comunque quanto irrisorio sia ancora il numero di aziende eco in Italia. Spring Color ci fornisce un altro esempio ed insieme una speranza, di quanto felice (e redditizio) possa essere uno sposalizio tra sostenibilità e industria.

Valentina



Vodka verde a 360°

14 04 2008

Lunedì mattina. In tram, si sentono distinti signori e aitanti studenti universitari raccontarsi le avventure del sabato sera e discutere di un nuovo tipo di alcolico che hanno provato. Routine, che forse fra pochi mesi potrebbe assumere una nuova accezione. A quanto pare, infatti, si stanno moltiplicando nel mondo le distillerie che si specializzano nella produzione di alcolici, a dire il vero per la maggior parte vodke, a basso impatto ambientale. Ebbene sì, il mondo dell’ambientalismo e dell’ecologia ha fatto breccia anche in mercato. Un caso esemplare è quello di Vodka 360°, prodotta dall’antica distilleria McCormick, sarà venduta in bottiglie di vetro riciclato all’85% su cui verrà soffiato il simbolo 360, con etichette attaccate senza colle inquinanti e scritte con colori completamente atossici. Gran parte dello che sforzo queste aziende promulgano per preservare l’ambiente si sostanzia in una attenzione al packaging della vodka, ponendo attenzione anche alla riduzione dei rifiuti prodotti dagli imballaggi, avvolgendo le preziose bottiglie con materiali riciclabili.
Ma questa iniziativa eco sostenibile non si ferma qui: gli stabilimenti di produzione utilizzano nuovi filtri per aria ed acqua, eliminando il 70% delle emissioni di composti organici volatili e del 99% di biossido di zolfo, oltre ad una riduzione del 50% dell’uso dei combustibili fossili per l’energia.
Un’iniziativa isolata di una balzana distilleria? Non sembra: in Italia questi nuovi brand devono ancora entrare, ma, per chi fosse interessato, consiglio di tenere d’occhio anche altre marce di vodka, quali la veev e la purus, prodotta con materie prime biologiche e imballata con ogni cura per l’ambiente. E gli amanti del bizzarro non si perdano la vodka go stylish, che sembra di godere già di un buon successo nel mondo (20 milioni di pezzi venduti nel 2007), una vodka confezionata in un tubetto di alluminio stile dentifricio.

Valentina



Crociere e ambiente

26 01 2008

In queste ultime settimane, in tema di rifiuti, l’Italia si è guadagnata un posto di rilievo in tutti i media internazionali. Al di là delle ragioni dello scandalo, è interessante rilevare l’importanza e la complessità che ha oramai assunto la gestione dei rifiuti nelle politiche locali. Anche le aziende si confrontano con queste problematiche, e per una volta l’Italia può vantare degli esempi positivi, di aziende che hanno trasformato le problematiche di tipo ambientale in opportunità.
Stiamo parlando di Costa Crociere, una delle più grandi compagnie di crociere al mondo. L’azienda ha ridotto del 10% il volume dei rifiuti per persona a bordo delle navi di Costa Crociere, che ha introdotto anche un nuovo sistema di smaltimento dei rifiuti non alimentari che favorisce la raccolta differenziata.
La gestione dei rifiuti è tuttavia solo una parte di una strategia più ampia di rispetto dell’ambiente:come testimonia il bilancio socio-ambientale 2006, l’azienda si occupa anche di ottimizzare le risorse, così come di diminuire gli scarichi e le emissioni sia delle navi da crociera che degli imppianti a terra.
L’attenzione dell’azienda per la sostenibilità, rappresenta per Costa Crociere un atteggiamento da trasmettere a tutto il personale, attraverso corsi di formazione specifici.

Ma la politica aziendale in sè non può ottenere nessun vantaggio o ritorno di immagine se non si sa raccontare: la sostenibilità è anche un prodotto da vendere a tutti gli stakeholders con cui l’azienda si confronta. E l’azienda italiana leader delle Crociere rappresenta un ottimo esempio anche da questo punto di vista. Dopo la certificazione ISO 14001, l’azienda ha anche ottenuto il marchio Green Star del RINA per tuttel le navi della flotte, che garantisce che non danneggiano l’ambiente e contribuiscono a mantenere puliti l’aria ed il mare.
L’impegno di Costa Crociera per l’ambiente si racconta anche attraverso i premi che riceve: nel 2006 la sede svizzera del Tour Operator Kuoni ha assegnato il Green Planet Award (principale riconoscimento in materia di gestione ambientale, nel settore turismo) alla flotta Costa Crociere. Ultimo tassello della strategia di comunicazione della sostenibilità di questo grande gruppo, riguarda gli importanti partner con cui ha deciso i collaborare, il WWF, una delle fondazioni più note per quanto riguarda i temi ambientali, e il Joint Research Centre (Institute for Environment and Sustainability) della Commissione Ue, per monitorare il mutamento climatico nel Mediterraneo.

In giorni di scandali e vergogna per il disastro campano, un esempio di azienda che sa rispettare l’ambiente ma soprattutto sa raccontare questa strategia facendola diventare un punto di forza per le proprie politiche.

Valentina



Protected: Arzignano e le iniziative per la sostenibilità intraprese

22 01 2008

L’analisi preliminare presentata venerdì 18 gennaio sul distretto della concia di Arzignano.
Dalle prime ricerche emerge un distretto che dalla metà degli anni ’70 ad oggi ha cercato di dare delle risposte ai problemi ambientali che nell’area si sono presentati in relazione alle lavorazioni conciarie, sollecitato prima di tutto dall’evoluzione della normativa di riferimento, ma anche, negli anni più recenti, da crescenti pressioni da parte della comunità locale e degli attori “a valle” della catena del valore – aziende clienti e consumatori finali -.
Le risposte che sono state attuate hanno soprattutto visto l’attivarsi di dinamiche collaborative e di coopetition tra le aziende del distretto.
arzignano_180108.pdf



Gruppo Crabo S.P.A.

19 01 2008

Il gruppo Crabo, azienda del distretto friulano dei mobili, offre interessanti esempi di innovazione ambientale, sia dal punto di vista del prodotto che del processo.
L’azienda nasce nel 1961 in un contesto in cui la tradizione della lavorazione del legno è ben radicata. Oggi opera nei mercati di tutto il mondo con un fatturato di circa 45.000.000 € producendo principalmente sedie, tavoli, gruppi angolari e complementi d’arredo, con stabilimenti in Italia, Serbia e Bosnia.

La tag-line del sito aziendale cita “The Eco FriendlyChoise”: fin dagli inizi infatti i fondatori del Gruppo hanno creduto in pochi e semplici concetti che caratterizzano la visone proattiva dell’azienda, primi fra tutti il rispetto dell’ambiente e la qualità del processo produttivo e del prodotto. Proprio per perseguire la coerenza con tale filosofia, il Gruppo ha da sempre perseguito alti standard ambientali nella realizzazione dei propri prodotti, attraverso pazienti ricerche e l’utilizzo di particolari tecnologie.

In particolare, riguardo appunto il prodotto, due sono i più evidenti interventi dal punto di vista della eco sostenibilità:
- I prodotti sono progettati in modo tale da essere smontabili, con l’evidente vantaggio di permettere, grazie al minor volume e alla facilità di trasporto, una riduzione dell’inquinamento veicolare.
- Sono stati progettati, realizzati e impiegati tre nuovi materiali ecocompatibili (Bree, Chylon, Chyplast): sono materiali ad elevato contenuto tecnologico che, tramite un processo di selezione, trattamento, omogeneizzazione, estrusione e pressatura di particelle del legno e di materiali termoplastici adeguatamente miscelati, consentono di ottenere un prodotto con caratteristiche tattili e di conduzione simili al legno e la plasticità caratteristica dei polimeri.

Dal punto di vista del processo invece, il Gruppo ha sviluppato quello che viene definito “circolo integrato del recupero” (C.I.R.), una ristrutturazione del processo di produzione che permette il riutilizzo sia degli scarti della lavorazione del legno che di una parte della plastica ricavata dalla raccolta differenziata. L’intero ciclo è sviluppato in tre stabilimenti:
- Italsvenska (che ha ottenuto nel 2001 la certificazione del sistema di gestione ambientale secondo la norma UNI EN ISO 14001, e dal 2003 la registrazione EMAS), dove avviene la produzione dei mobili veri e propri, da dove vengono ricavati gli scarti del legno e gli sfridi del legno che andranno destinati allo stabilimento Chenna;
- Chenna, dove gli sfridi del legno vengono impiegati assieme ai materiali plastici provenienti dalla raccolta differenziata per produrre Bree, Chylon, e Chyplast;
- Nuova Romano Bolzicco, dove viene prodotta energia termica ed elettrica attraverso la termovalorizzazione degli scarti dell’industria del legno (provenienti da Italsvenska) e delle materie plastiche, ricavate dalla raccolta differenziata e non utilizzabili nella produzione di Chylon.

Per lo sviluppo del Circolo Integrato del Recupero sono stati coinvolti diversi attori, tra cui il CONAI, consorzio nazionale imballaggi e il COREPLA, consorzio per Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica. Grazie anche a questi soggetti é stato possibile sviluppare il Circolo Integrato del Recupero (CIR), in particolare per quanto riguarda il flusso di materie plastiche recuperate che vengono destinate, per la parte utilizzabile, alla produzione di nuovi manufatti e per la parte non utilizzabile alla termovalorizzazione, con conseguente produzione di energia elettrica e termica.

Per approfondire:
Crabo S.P.A.
Stabilimento Chenna
C.I.R.

Elena