A New York sfila la moda sostenibile
26 10 2009Dal 10 al 19 settembre si è tenuta a New York la consueta settimana della moda. In quanto appassionata ed impiegata del settore cerco sempre di tenermi aggiornata sulle novità ed i cambiamenti in atto nel sistema ed è così che sono venuta a conoscenza di alcuni eventi sulla moda sostenibile ospitati proprio in occasione della kermesse. Ho fatto ciò che era nelle mie possibilità per potervi partecipare, ed ora sono qui a trasmettervi le sensazioni che ne ho ricavato.
Attraverso Twitter sono venuta in contatto con il progetto di Tara St. James, una giovane newyorkese che attualmente dirige Study NY, un’agenzia che si occupa di supportare e lanciare stilisti emergenti nel campo della moda sostenibile. Il suo progetto consisteva nel dar vita ad una piccola collezione di capi versatili e modellati a partire dalla forma più semplice di tutte: il quadrato. Pezze di stoffa quadrate cucite, drappeggiate, riprese e attorcigliate, ma mai tagliate. Questo per dimostrare come si possano creare abiti splendidi senza sprecare tessuto in ritagli. Tessuto, peraltro, non convenzionale: cotoni organici, tinti senza utilizzare sostanze inquinanti, e materiali di recupero, a creare splendide gonne e stole intrecciate a mano. La determinazione e la simpatia di Tara hanno fatto sì che lei riuscisse a raccogliere su Internet tramite donazioni spontanee quasi 7.000 dollari, che le hanno permesso di mettere in piedi una piccola sfilata durante la settimana della moda, proprio a New York, dimostrando quanto sia efficace e vincente il connubio eco-chic.
Sono stata, poi, ad una preview di moda etica: uno spazio espositivo, una sorta di fiera in cui numerosi stilisti ed artisti presentano ai visitatori le loro creazioni ad impatto zero: freschi ed eleganti abiti in tessuti naturali (Emesha); gioielli in oro, argento ed acciaio di recupero e pietre dure di scarto o estratte nel rispetto dell’ambiente e della salute dei lavoratori (Moonlight Jewelry by Alluryn, ma anche Castaway Design by Nick Vaverco, Alberto Parada ed Ana Gutierrez); deliziose clutch ricavate da gomma di pneumatici usurati (Passchal) o eleganti borse in pelle rivitalizzata e trattata (Redhanded Bags); caldi pullover ottenuti dalla filatura di …Bottiglie di plastica colorata . Opere d’arte di una moda che è consapevole del suo costo per il pianeta e che, proprio per questo, dall’alto delle passerelle abbassa lo sguardo sulla Terra e si serve di quello che è già stato prodotto, piuttosto che produrre dell’altro costoso Nuovo.
Negli States fioriscono sempre più spesso organizzazioni come quella di Tara St. James: non posso dimenticare di citare Bel Esprit (Debora Pokallus ne è la brillante presidentessa) che insieme a Nolcha ha organizzato gli eventi sulla moda sostenibile e che funge da vera e propria incubatrice per stilisti che vogliano intraprendere una carriera in questo ambito.
La moda che ho visto a New York mi è sembrata divertente, fresca. Sa di nuovo, di adesso, dei problemi dell’oggi e del domani. Soddisfa la necessità di reinvenzione originale propria di questi artisti contemporanei, che dispongono di materiali non convenzionali e di un nuovo stimolo a creare: la sfida dell’era moderna, salvare il pianeta dal riscaldamento globale. Il mercato della moda sostenibile è in costante crescita (stando ad un rilevamento di ICEA, Istituto di Certificazione Etica e Ambientale, esso attualmente genera un fatturato complessivo di 370 milioni di euro) e si auspica che possa prendere sempre più piede, soprattutto tra le giovani generazioni. Non viene chiesto, tuttavia, a questa moda, di ridurre drasticamente l’impatto ecologico dell’uomo sulla Terra, né di risolvere in toto il problema dei rifiuti o di avere un ruolo chiave nella riduzione delle emissioni inquinanti. Certo, anche il settore tessile fa la sua parte nel quadro generale, ma la moda è moda, fa quello che sa fare: è un veicolo di espressione, di informazione e di cambiamento. Ecco, ci aspettiamo questo, che cambi i comportamenti e introduca una nuova sensibilità. Uno nuovo stile di vita ecocompatibile… Che vada di moda.
Silvia
Siliva,
grazie per l’affresco di una New York nascosta ma molto dinamica e interessante. A vedere dalle riviste di moda ma anche dai dati che citi dell’ICEA, sembra che il mondo della moda consapevole sia in fermento e acquisti ogni giorno nuovi adepti.
Come dicevi tu, nonostante i buoni propositi è difficile che la moda sostenibile possa cambiare la temperatura del globo terrestre o influire decisivamente sull’inquinamento atmosferico. Anche perchè sono molti gli aspetti ceh un prodotto dovrebbe “coprire” per potersi dire veramente sostenibile: se è fatto di materiale riciclato ma viene prodotto a miglia e miglia di distanza e trasportato con vecchi truck euro zero, l’effetto positivo del riutilizzo del materiale sarà vanificato e l’unica cosa che rimarrà sarà una patina di green marketing.
Ma come dicevi tu, il ruolo della moda può essere anche molto di più: tendenza, consapevolezza, informazione. E in questo sicuramente l’impatto di questi stilisti può essere molto molto importante.
Molto interessante l’idea delle pezze quadrate per evitare gli scarti di produzione e di lavorazione, visto che posso immaginare che nel settore tessile i costi di rilavorazione dei tessuti di scarto siano abbastanza alti.
Mia nonna, che è sarta, mi ha raccontato che quando al lavoro “tagliava i vestiti” partendo dalle pezze di tessuto quadrate, i tessuti di scarto meno pregiati venivano usati per fare imbottiture, mentre quelli con una lavorazione migliore venivano usati per confezionare fazzoletti e foulard da donna.
La Stampa ha pubblicato una settimana fa un articolo sulla moda sostenibile: http://www.lastampa.it/2013/06/03/blogs/green-jobs/lo-stilista-di-moda-sostenibile-kA0NvVG61oEaAJKyfh5KBK/pagina.html Molto interessante.