Rinverdire le catene del valore globali

15 07 2009

Sono appena tornata da un intensa settimana in America dove ho partecipato ad un’intenso workshop in cui si è discusso di upgrading e catene del valore globali. A parte i chili di troppo, imprescindibili dopo una settimana negli States, mi sono portata a casa un bel po’ di interessanti riflessioni che voglio condividere su questo spazio.

Nel contesto di una crescente frammentazione dei processi produttivi su scala globale, gli occhiali adatti per interpretare la nuova divisione del lavoro sembrano non poter prescindere dall’analisi dell’intera catena del valore in cui le aziende sono coinvolte. Nel workshop si è cercato di comprendere le possibilità di upgrading, miglioramento, innovazione, delle aziende che partecipano a queste catene del valore, non più solo a livello economico ma anche sociale e ambientale. La letteratura finora si era concentrata solo sul primo, individuando nella tipologia di governance della catena e nelle capacità delle singole aziende i fattori fondamentali che determinano le possibilità di upgrading.

Una prima interessante novità ufficializzata nel workshop è stato proprio lo spostamento dell’attenzione verso un altro tipo di upgrading, sociale e, soprattutto, ambientale insieme a quello economico, comunque imprescindibile. Il che, inserito in un contesto centerario in cui le aziende sono state considerate come meri attori economici atti a massimizzare il profitto non è cosa da poco. Il workshop ha segnato l’inizio di una nuova agenda per gli studi sulle global value chain, in un crescente interesse per le dinamiche ambientali su cui sembra si vorrà scommettere per molti anni a venire.

Interessante in questa prospettiva è stato il riconoscere come l’innovazione ambientale possa comportare la riconfigurazione delle catene del valore. Da un lato, per poter creare nuovi prodotti sostenibili è necessario cambiare il proprio sistema di relazioni, come per quanto si è visto per il settore dell’auto in cui nuovi soggetti si stanno sostituendo e quelli tradizionali. Per creare l’auto elettrica infatti non bastano più fornitori specializzati nella creazione di ingranaggi ma entrano in scena tutta una nuova serie di attori come i fornitori di batterie elettriche. Dall’altro lato, si dimostra necessario anche una trasformazione del rapporto tra gli attori coinvolti. Le marche di caffè che vogliano vendere un prodotto ecologico devono instaurare un rapporto di partnership con i propri fornitori in Africa per poter garantire il rispetto di determinati standard sui processi produttivi.

Altro interessante aspetto, chiaro nella mente del practitioners ma finora meno in quella degli scholars, è che queste varie tipologie di upgrading non hanno sempre una convivenza facile, essendo caratterizzate da un trade-off. Trade-off tra upgrading economico e sociale, ma anche tra upgrading ambientale oggi rispetto a domani, tra upgrading economico qui e downgrading in qualunque altro punto della catena. Insomma, un po’ di buon realismo nella letteratura che finora si era concentrata ottimisticamente solo sullo studio delle possibilità di miglioramento, ignorando la rilevanza empirica e la potenza esplicativa dei casi di downgrading. E l’attuale periodo di crisi rende questa prospettiva ancora più rilevante.

Il dibattito, quindi, si fa più complesso di quello che aveva caratterizzato questa letteratura finora. Come tenere insieme tutti questi nuovi pezzi, dando senso alle dinamiche di riconfigurazione delle catena del valore a livello globale? La risposta, secondo me, sta nel ruolo di singole aziende leader; aziende che siano in grado di interpretare il cambiameto dei tempi implementando contemporaneamente un upgrading ambientale (e sociale) ed economico grazie alla creazione di un sistema di valori che possa essere riconosciuto dal consumatore finale. L’Italia ha sicuramente qualche carta da giocare in questo senso: vedremo se le aziende raccoglieranno questa sfida.

Valentina


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