L’Italia in prima fila sul clima

20 10 2008

Siamo abituati a leggere le notizie che riguardano la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile nell’appedice dei giornali, affiancate alle pagine che recensiscono gli ultimi best-seller usciti in libreria o le prodezze di Ronaldinho. Da una settimana, invece, l’argomento ha guadagnato stabilmente le prime pagine dei giornali grazie alle vicende legate all’approvazione del pacchetto clima europeo. L’Italia in particolare sta tenendo banco ai vari vertici europei, mantenendo un clima di incertezza su quelli che saranno gli esiti del pacchetto che dovrebbe perpetuare gli impegni assunti già a Kyoto, prevedendo una riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020. Ma per capire il perchè di tanto fermento e dell’incertezza sugli esiti del consiglio dei ministri dell’ambiente di oggi e degli altri meeting europei dovuti alle politiche italiane, una breve cronistoria della vicenda può essere utile.

Il primo segnale risale già al 14 settembre, quando la presidentessa di confindustria ha dichiarato guerra aperta a questo pacchetto, che produce “danni enormi alle economie in cambio di benefici infinitesimali per l’ambiente”. La seconda tappa di questa breve cronistoria riguarda l’eco di questa polemica riportato in sede europea dal Presidente del Consiglio italiano, che ha invocato una riduzione degli oneri in capo alle imprese in vista della grave crisi economico-finanziaria che stanno attraversando i paesi, che è sfociato negli ultimi giorni nella scelta di guidare un quantomeno eterogeneo fronte del no, che mira ad un rinvio e/o a delle modifiche. Il fatto è che gli altri paesi, o almeno le economie europee più avanzate, nonostante vivano nella stessa epoca storica, non sono affatto dello stesso parere, anzi.

Molti leader europei si sono esposti chiaramente a riguardo: la tutela dell’ambiente non è necessariamente solo un costo. Parte della querelle innescata dalle posizioni italiane in sede europea riguarda proprio anche la questione numeri. Secondo alcuni i dati presentati da industriali e governo sui costi del pacchetto per le aziende non tengono conto dei vantaggi che questo pacchetto può apportare, che alleggerirebbero quindi il conto totale a carico delle aziende. Non solo. E non tanto perchè, come concorda tutta la comunità scientifica, la lotta ai cambiamenti climatici non è più rinviabile, tanto per un motivo prettamente economico. La carta della leadership nell’economia pulita potrebbe rappresentare infatti uno (dei pochi possibili) assi nella manica per le economie europee, posizionandole su un business in grado di proiettarle nel futuro prossimo con un vantaggio economico da giocarsi contro gli agguerriti competitor internazionali. L’economia pulita è considerata secondo molte autorevoli voci la bolla che può salvarci dalle bolle (finanziarie,…) subite finora, il mezzo per rialzare l’economia mondiale insieme alle sorti del pianeta. Per concludere con Zapatero: “la crisi internazionale non deve portarci a fare passi indietro: ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e ridurre l’inquinamento non è un problema ma una via d’uscita, una soluzione”.

Quello che questa vicenda ci segnala è che la tutela dell’ambiente non è un argomento né secondario né slegato dalle sorti economiche degli stati. Vedremo se l’Unione Europea sarà in grado di raccogliere questa opportunità, sfidando le inerzie per proiettarsi nel futuro.

Valentina



Un giorno alla fiera del mobile

7 10 2008

Devo confessare che anche se è solo poco il tempo da cui mi sto interessando alle tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile, è già  diventata una deformazione professionale per me. E così passeggiando tra gli stand di una fiera del mobile, la prima domanda che mi salta in mente è: quante aziende avranno esposto indicazioni di un modo di produrre eco-friendly? Quanti produttori di letti, sofà e armadi a muro avranno esposto cartelloni pubblicitari per sfoggiare le loro doti ambientaliste, i loro investimenti in un miglioramento della qualità attraverso una produzione più efficiente e meno inquinante, un cambiamento di rotta verso un modo di produrre più sostenibile?

Condivido con voi questa mia simpatica ossessione perchè più delle domande, interessanti sono le risposte che ho trovato. Come forse qualche altro internauta avrà sperimentato vagando per gli infiniti stand di questo genere di manifestazioni, è che c’è un’unica risposta a queste diverse domande. Scommetto di non stupire nessuno nel dire che è la più desolante tra tutte le alternative possibili: nessuno. O quasi. Volendo cercare con il lumino, si riesce a scorgere qualche esempio illuminante, ma, ohibò, solo “i soliti noti” (Valcucine, per capirci).

Eppure un breve viaggio nei siti internet dei principali produttori di cucine, tanto per restare nel tema, sembra indicare tuttaltro. Veneta Cucine, SnaideroCiesse, Scavolini, solo per citare i primi risultati tra i produttori di cucine che ritorna una breve ricerca in Google, hanno tutti una sezione dedicata al tema ambientale, con tanto di identificazione della sostenibilità ambientale tra i principali valori aziendali. In fiera invece nessun rivenditore accenna al fatto; “questa cucina (ma potremmo fare lo stesso ragionamento parlando di imbottiti o di letti a caastello) è la migliore per le soluzioni adottate, per la qualità, per il prezzo”, ma nessun accenno al suo impatto ambientale.

Perchè?

Secondo me perchè il cliente medio (e anche molto più che medio) quando compra una cucina chiede per quello che ritiene essere il massimo: legno massiccio, tavoli spessi, soluzioni massicce. Con un occhio sempre più attento anche al prezzo. Altro che compattezza e minor utilizzo di materie prime, produzione con emissioni zero e riduzione degli sprechi. Il fatto è che nessuno chiede queste cose. La legge del mercato ha fatto sì che quasi ogni azienda del settore ormai abbia conseguito delle certificazioni ambientali, ma è dubbio se riescano a far leva su questo per ricavarne un premium price dai propri comsumatori, limitati dal proprio budget in caduta libera e sempre più sospettosi e disinformati.

E’ possibile immaginare uno scenario più roseo per un prossimo futuro? Domanda aperta, che secondo me dipenderà molto da quanto l’autorità pubblica saprà influire da un lato sul livello di informazione del consumatore, dall’altro sui suoi vantaggi a scegliere un prodotto green (piuttosto che uno cheap). Nel frattempo, mi ho già prenotato un biglietto per la fiera dell’anno prossimo.

Valentina