L’eco design premiato a IDEA 2008

23 07 2008

La società di designer industriale americana e BusinessWeek conferiscono ogni anno i premi speciali IDEA,(International Design Excellence Awards), una vetrina internazionale di tutto rilievo per designer da tutto il mondo.
I vari concorrenti gareggiano in diverse categorie, che spaziano dagli accessori al packaging, dal tempo libero all’elettronica (dove apple ha vinto 4 premi,n.d.r.). Tra queste categorie spicca anche quella dell’eco-design. Ma c’è di più. La sostenibilità ambientale dei prodotti presentati non è semplicemente relegata ad una categoria a se stante, ma rappresenta uno dei principali criteri che la giuria ha dichiarato di adottare, tra gli altri, per valutare tutti i prodotti presentati nella competizione. Come dire, la sostenibilità ambientale non è prescindibile in nessun tipo di prodotto e innovazione: è diventata semplicemente una condizione di base, che ogni designer e produttore deve prendere in considerazione quando sviluppa il proprio prodotto, che voglia investirci in termini ambientali o meno.

Ma chi sono i vincitori della categoria eco-design? Tra i prodotti più interessanti (e premiati) di questa categoria c’è Treepac shipping system, uno scatolone riutilizzabile per spedire qualsiasi tipo di materiali da una parte all’altra del globo, progettato per ridurre l’impronta ambientale grazie al uso riutilizzo, rispetto al classico scatolone di cartone usa-e-getta, e per includere servizi innovativi, a beneficio di spedizionieri e clienti.
E che dire di Lite2go Lamp, un lampadario che riduce lo spreco di materie prime legate all’imballaggio rendendo l’imballaggio stesso il paralume? O di 360 paper bottle, un contenitore per liquidi multiuso prodotto con soli materiali riciclabili e che riduce drasticamente l’utilizzo di energia nel uso processo produttivo? Un altro prodotto che sembra aver ispirato molto gli eco-designer sono le lampade, per arredi domestici e urbani, che sono state reinterpretate in salsa verde attraverso l’utilizzo di LED, piuttosto che con l’utilizzo di energia creata dall’interazione con l’uomo.
Ma i designer a IDEA si sono sbizzarriti anche nel creare prodotti che svolgano funzioni ambientalmente utili. Come il cestino BigBelly che compatta i rifiuti grazie all’utilizzo di energia solare.

Forse l’attenzione all’ambiente nel design è solo agli inizi, ma la gran varietà e qualità dei prodotti presentati a IDEA 2008 sottolinea come questo matrimonio tra design e ambiente sia più che promettente. Sicuramente un matrimonio in cui investire se anche designer della caratura di Phillipe Starck hanno deciso di muoversi in questa direzione, concretizzandosi in prodotti dai nomi altisonanti quali il “democratic design“.

Valentina



Come rendere sostenibile lo sviluppo?

11 07 2008

Lo scorso 9 luglio si è tenuta a San Servolo, sede di Venice International University, un incontro interno di discussione su un progetto centrato sull’analizzare come sia possibile coniugare lo sviluppo con la sostenibilità, tematiche di cui ci stiamo occupando da tempo in questo blog.

Un primo punto di partenza comune a tutte gli interventi della discussione, arricchita dalla presenza di vari esperti e interessati a queste tematiche da lunga data, è stato il riconoscere una multidimensionalità al concetto di insostenibilità. Il problema della sostenibilità non riguarda solo l’aumentata pressione ambientale e l’intaccamento del capitale naturale. L’attuale modello di produzione è messo in crisi anche da un più generale aumento della complessità, da un problema di equilibrio precario tra appropriazione e stimoli alla produzione sul campo dei commons cognitivi, da un più ampia riflessione critica sul senso del produrre e del consumare.
Il sistema produttivo che ci ha accompagnato fino a questo momento storico è dunque in crisi per un problema più ampio di sostenibilità, di cui quella ambientale, da analizzarsi a livello macro ma anche meso (sistemi di produzione locali e comunità) e micro (le singole aziende motori del cambiamento), è solo una delle sue varie dimensioni.

In questo quadro un ruolo centrale per attuare una trasformazione deve essere ricoperto dalla regolazione. Ma non una regolazione accentrata di stampo Fordista, che bacchetti con tasse e costi all’inquinare i produttori cattivi. La regolazione necessaria per uscire dal circolo vizioso dell’insostenibilità è invece tutta da ricostruire, basandosi su una collaborazione attiva tra molti più soggetti, dall’autorità pubblica agli imprenditori, dalle comunità (anche produttive) locali ai consumatori. Una regolazione che usi incentivi e sussidi tenendo conto dell’incoerenza temporale tra l’accorciato orizzonte temporale con cui si devono confrontare le aziende per competere nella global economy e più lunghi tempi e corrispettivi alti rischi impliciti in processi innovativi di tale portata.
L’obiettivo di questo sforzo comune e sincrono non deve essere più soltanto quello di focalizzarsi sulle esternalità negative ma quello di stimolare la migliore innovazione, che dia il via a meccanismi virtuosi che disinneschino la bomba ad orologeria dell’insostenibilità e promuovano un modello produttivo di successo.

In questo quadro, ilmodello produttivo italiano ha molto da dire e da giocarsi. Riconosciuto a livello internazionale da tempo come interprete di un modello di sviluppo industriale alternativo a quello tradizionale fordista grazie alla forza propulsiva delle sue comunità e filiere produttive, si prospetta come un naturale candidato per risolvere l’apparente dicotomia tra sostenibilità e produzione industriale. Le aziende distrettuali italiane hanno tutte le carte in regola per promuovere un rinnovamento strutturale, sviluppando un’innovazione capace di interpretare il futuro, coniugando le capacità produttive industriali con una produzione di senso, che sempre più ricerca il consumatore attento alle tematiche ambientali ma non solo.

In questo blog abbiamo già decantato esempi di aziende italiane che si sono mosse in questa direzione. Ora resta da gestire il passaggio di scala dalle singola aziende d’avanguardia, alla creazione di un sistema produttivo sostenibile che si basi sulla collaborazione sincrona tra il sistema della produzione, della regolazione e del consumo.

Valentina



La tecnologia salverà il mondo

5 07 2008

Siamo stati abituati a pensarlo per gran parte della nostra storia di umanità: la tecnologia, forma attraverso la quale si materializza il progresso, apporta dei miglioramenti indispensabili e utili alla vita dell’uomo. Ora molti scienziati ed imprenditori stanno scommettendo sul fatto che la tecnologia potrà salvare anche la terra dagli effetti negativi e dalle trasformazioni, secondo alcuni irreversibili, che l’attività umana sta apportando nell’ecosistema.
Effetto serra, cataclismi climatici, innalzamento delle temperature e del livello delle acque sono ormai minacce la cui veridicità è presa ormai per assodata.
Ma nonostante i molti allarmisti, i documentari d’autore, i rapporti scientifici di stimati istituti di ricerca e ministeri di mezzo mondo, che dimostrano come la colpa di questi cambiamenti dipenda dall’attività dell’uomo, gli inquilini del pianeta sembrano non volerne sapere di cambiare il proprio stile di vita.

E allora se non si possono eliminare le cause, perchè non agire sugli effetti? Questa almeno sembra essere la visione di molti scienziati, e, ancora più interessante di molti imprenditori. Secondo un recente articolo pubblicato da repubblica, solo in America sono almeno 400 le aziende private la cui missione societaria è la riduzione della CO2 emessa. E ancora più interessante, è sapere che la società di consulenza Point Carbon stima che in soli 2 anni il numero di queste aziende di Geo-engineering sarà tre volte più grande, forse anche di più, se la prossima amministrazione americana introdurrà dei tetti più stringenti all’inquinamento industriale.

Le proposte avanzate da queste società sono le più disparate e alcune ricordano delle soluzioni da fumetti Marvel. Come quella proposta dalla Global Research Technologies che produce aspiratori giganti in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’aria e, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformarla in materiali inerti da seppellire in località isolate.
O quella proposta dal premio nobel Paul Crutzen di spruzzare delle specie di mega-aerosol di zolfo nella stratosfera per schermare la luce del sole e raffreddare la Terra. O quella proposta da Climos e Planktos, che propongono un simile approccio ma nel profondo dei mari, disseminando gli oceani con polvere di ferro per aumentare la presenza di fitoplancton, che è in grado di assorbire CO2.

Efficaci soluzioni o progetti allampanati? Difficile dirlo. Sicuramente però, un business interessante, se perfino l’influente think tank dell’American Enterprise Institute gli ha dedicato un convegno e se il numero di aziende che scelgono si scommettere su questo settore è in aumento esponenziale.

Valentina